domenica 4 novembre 2012

The Foreign Legion

Ivo Perelman
Matt Shipp
Gerald Cleaver

Leo Records
                                                                           

Il sassofonista brasiliano Ivo Perelman non fa mistero delle eccellenti sinergie createsi all’interno del suo recente quartetto che comprende Matthew Shipp, pianoforte, Joe Morris, contrabbasso, Gerald Cleaver batteria. Sinergie così soddisfacenti per concezione del verbo jazzistico, per capacità di ascolto e comprensione, per duttilità di comportamento che lo hanno portato alla determinazione di esplorare ulteriori frangenti che la frammentazione del combo originario, in  duo o trio, avrebbero potuto rivelare. Ed ecco che dopo il riuscitissimo Family Ties, con Morris e Cleaver, arriva questo cd con Shipp e lo stesso Cleaver. Anche in questo caso le cose sono andate meglio del previsto e l’intuizione del sassofonista brasiliano è risultata indovinata. Il trio infatti viaggia in ideale sintonia per tutto l’arco delle cinque composizioni di cui si compone la selezione. Il pianoforte di Shipp crea un flusso sonoro denso di armoniche e di ritmo che stimolano la creatività di Perelman impegnato in una libertà espressiva dilagante e inarrestabile. Il suo sax sembra emulare il vociare umano: un flusso di gemiti, grida, lamenti ma anche di frasi liriche, di frammenti melodici straordinariamente toccanti. Esaltante il contributo in questo ambito di Cleaver alla batteria, tecnicamente sbalorditivo e fantasioso, sempre opportuno in ogni passaggio e capace di interpretare con il suo strumento le dinamiche di ogni brano. E’ un crogiuolo di inventiva e creatività in cui sono determinanti e inscindibili i tre musicisti impegnati in un contesto improvvisativo assolutamente predominante fin dalla prima traccia “Mute singing mute dancing”, un tappeto magmatico creato da Shipp e Cleaver sul quale Perelman si esprime con intenso vigore. Un’atmosfera che si placa con l’arrivo di “Paul Kline” traccia n.3, introspettiva e sospesa con l’intro al pianoforte di Shipp ricco di bagliori lirici affascinanti ai quali si accosta Perelman con fraseggi in bilico tra melodia ed estro virtuosistico. E’ questa la traccia di mezzo mentre le altre due rimanenti, “Sketch o fan wardrobe” e “An abstract door” ritemprano l’ambient in un ulteriore vortice nervoso e trascinante. Chiudo con una annotazione curiosa che riguarda i titoli dei brani di questo lavoro per i quali Perelman ha consultato la biografia dello scrittore brasiliano Clarice Lispector, deceduto nel 1977 e molto seguito in tutta l’America Latina.


domenica 28 ottobre 2012

Uomini di Terra

Pasquale Innarella Quartet

Terre sommerse


Con un chiaro e voluto riferimento a personaggi come Giuseppe Di Vittorio e Rocco Scotellaro il sassofonista Pasquale Innarella ha scelto di imprimere  a questa sua produzione live, registrata il 15, 16 e 17 marzo 2012 al Riunione di Condominio Music Club di Roma, una impronta strettamente legata alla realtà contadina ovvero agli Uomini di terre come il titolo dello stesso cd e alle lotte  che questa categoria nel corso degli anni ha sostenuto. Con lui sono: Francesco Lo Cascio,vibrafono e percussioni, Pino Sallusti, contrabbasso e Roberto Altamura, batteria, in una serata vissuta con la forza delle idee e con la musica nell’anima. E’ questo ciò che traspare da una performance intensa e coinvolgente senza pause e cedimenti di sorta giocata ad un ritmo serrato, spezzato solo per dare spazio a qualche ballata come accade nel rifacimento di un brano di Vinicio Capossela, “Non è l’amore che va via” e nella ripresa della famosa “Malayka” firmata da Fadhili William. Tutto il resto è jazz di alto livello, spesso intriso di blues come nella conclusiva “Blued”, fra temi dall’ampio respiro e di facile assimilazione e una straripante attività improvvisativa che nel complesso denotano le gradi doti stilistiche  e le pregevoli intuizioni che da sempre hanno contraddistinto Innarella qui affiancato dal magico cromatismo del vibrafono di Lo Cascio e da una sezione ritmica che sposa in pieno gli umori del leader. Il sassofonista irrompe sul pentagramma con un’energia dirompente e quando decide di andare oltre lo fa con la voglia di uscire dagli standard più canonici ricercando sonorità anche abrasive o distorte sempre fortemente imbevute di quel pathos che non manca mai di dispensare con le sue note. Basta ascoltare l’iniziale “L’Uomo delle Terre” o la successiva “Flowers for Rocco Scotellaro” dedicata al grande scrittore per rendersi conto quanto il sassofonista sia stato ispirato da questo personaggio e quanto viva queste ispirazioni nell’ambito della performance. Grande musica e grandi vibrazioni, fruibili su cd, anche questa volta grazie all’impegno dell’etichetta Terre Sommerse della cui collana Jèi questo cd fa parte senza dimenticare il prezioso libretto di cui è corredata la confezione e dove sono riportati tra gli altri scritti di Giuseppe di Vittorio e Placido Rizzotto. 

mercoledì 24 ottobre 2012

Sleeper Tokyo, April 16, 1979

Jarrett
Garbarek
Danielsson
Christensen

Ecm Records


E’ il ritorno al passato di Keith Jarrett, più o meno sul finire degli anni ’70, tra i periodi più fiorenti per la sua attività, quello con il quartetto europeo, che qui ritroviamo composto da Jan Garbarek ai fiati, Palle Danielsson al contrabbasso e Jon Christensen alla batteria.  E’ un album live, peraltro doppio, una registrazione  effettuata a Tokyo il 16 aprile del 1979, tenuta nascosta per tutto questo tempo e ora tirata fuori forse in un momento di impasse nella produzione di Jarrett. Un doppio cd godibile dal primo all’ultimo minuto della sua durata, dal primo all’ultimo brano in esso contenuto. Un Jarrett illuminato e illuminante, in perfetta simbiosi con i suoi musicisti, sciorina alcune perle del suo ampio catalogo a partire da “Personal Mountain” che ha dato il titolo ad un suo precedente lavoro. A contrappuntarlo con altrettanta lucidità ispirativa è Garbarek con i suoi fraseggi densi di pronunciata vocalità, con i suoi guizzi e le sue invenzioni nelle parti improvvisative e una sezione ritmica che sprigiona frenesia ad iosa al punto da trascinare lo stesso leader che in qualche frangente abbandona il pianoforte e si da proprio alle percussioni. Ma la performance è intrisa anche di brani dalle atmosfere struggenti come la parte finale di questa prima traccia che introduce “Innocence” dall’ambient introspettivo caratterizzato dall’esclusivo dialogo pianoforte-sax che travalica ogni confine di generi fino ad aprirsi, facendo breccia nel cuore dell’essenza melodica del brano, con sax e pianoforte che viaggiano all’unisono affiancati dalla sezione ritmica del duo Danielsson- Christensen intenta a dispensare il suo prezioso contributo con rara delicatezza. E cosa dire di “Oasis” in apertura del cd n.2: umori world su un tappeto percussivo tribale nell'ampia l’ampia introduzione. Ed è allora che ci si accorge dell’identità unica di questo quartetto capace in quegli anni di esprimere  ciò che  oggi, a distanza di tempo, ci stupisce per l’inusitata freschezza, per l’equilibrio tra scrittura e improvvisazione, per la voglia di contaminazione così preponderante e coraggiosa. Un album prezioso quasi indispensabile se si è amato Jarrett nel passato.