martedì 16 aprile 2013

Skull Sessions

Rob Mazurek Octet

Cuneiform Records 


Sembrerà un’ossessione, un’incondizionata ammirazione, da parte del sottoscritto, per uno dei musicisti più innovativi del jazz contemporaneo, quel Rob Mazurek, trombettista, da Chicago, fortemente innamorato del Brasile dove ha vissuto negli ultimi otto anni. Ora Mazurek è tornato nella città del vento dove continua a tessere preziose tele musicali che irrorano la sua già ricca discografia. Una discografia che, credetemi, contiene straordinarie produzioni realizzate con varie formazioni e in diversi contesti, da qui la mia ammirazione non incondizionata ma certamente critica che voglio condividere con voi che frequentate questo blog. Quest’ultimo tassello discografico arriva per commissione dagli organizzatori di una mostra di pitture a S.Paolo, Brasile, durante i mesi di agosto e settembre 2012, denominata We Want e dedicata al grande Miles Davis. A Mazurek era stata richiesta una reintepretazione di alcuni brani dell’opera del mai dimenticato trombettista e lui invece sorprende tutti proponendo  cinque brani originali scritti per l’evento ed eseguiti con un ensemble che riunisce: John Herndon alla batteria, Jason Adasiewicz al vibrafono, Nicole Mitchell ai flauti, ovvero una parte dell’Exploding Star Orchestra; i sudamericani  Mauricio Takara, percussioni  e cavaquinho (una sorta di ukulele brasiliano);  Guilherme Granado, tastiere ed elettroniche, entrambi questi due ultimi, membri con il nostro dei São Paulo Underground; Carlos Issa alle chitarre e lo svizzero, da anni trapiantato in Brasile, Thomas Rohrer, rabeca (viola brasiliana) e c melodica sax. L’opera che ci ritroviamo è ancora una volta intrisa di genialità, Mazurek non si limita a comporre musiche affini al maestro di riferimento, soggetto della mostra, bensì approfitta dell’occasione per tracciare un progetto che appare come un’ulteriore evoluzione e sintesi dei tanti filoni già percorsi in precedenza. C’è anche in questo una forte componente ritmica che sembra unire la frenesia sudamericana con la liberta del free, c’è un forte intreccio di ostinati sonori lasciati alla libera interpretazione dei singoli. C’è una grande spazialità espressiva in cui ogni musicista si muove secondo il coinvolgimento che riesce a percepire durante lo svolgersi esecutivo. L’ottetto guidato dal trombettista crea un flusso sonoro costante e intenso che sembra inondare l’ascoltatore. Nel magma sonoro che avanza si infilzano i fraseggi dei fiati di Mazurek e della Michell, i primi ricchi di umori davisiani, i secondi intrisi di tribalismo africano. Svetta poi a spezzare questa continuità un magistrale dialogo, tra il vibrafono di Adasiewicz e la tromba del leader, impinguato di liricità struggente, all’interno di “Passing Light Screams” terza delle cinque tracce contenute nel cd. Il resto è ancora un torrente inondante di suoni e ritmi, un caleidoscopio luminescente e ricercato nell’estemporaneità densa di creatività dove c’è posto per la connivenza di elettronica e strumenti acustici dove si celebra ricerca e rivalutazione di identità espressive dense di tradizione.

Giuseppe Mavilla 

domenica 14 aprile 2013

Omit Five


Omit Five

Caligola Records

Esce pochi mesi fa, per l’etichetta Caligola Records questo cd del gruppo Omit Five, cinque giovani musicisti che legano idealmente, dato le loro provenienze, Veneto Campania e Sicilia. Un cd frutto di un progetto che prende vita nel 2010, come appendice indipendente del laboratorio di improvvisazione del biennio jazz del conservatorio F.Venezze di Rovigo. I protagonisti: Mattia Dalla Pozza, sassofonista; Filippo Vignato al trombone; Joseph Circelli, chitarra; Rosa Brunello, contrabbassista e Simone Sferruzza, batteria. Registrato all’Urban Recording di Trieste nel settembre 2011 questo cd, che porta lo stesso nome del gruppo, è una pregevole realizzazione che rivela la dimestichezza con il mondo del jazz che musicalmente questi cinque musicisti hanno ormai acquisito. A ciò si aggiunge la loro capacità di aver saputo coniare un linguaggio espressivo che unisce una sorta di post bop o post cool con sonorità tipiche di jazz moderno, dove sono facilmente riscontrabili forme o strutture musicali che non nascondono, più di tanto, anche umori provenienti da ambiti pop o rock. Il tutto è confezionato con abile maestria e la qualità delle dieci composizioni contenute nel cd cresce ascolto dopo ascolto rivelando la bontà della scrittura, ben otto brani sono originali, una ben ragionata spalmatura delle parti improvvisative nonché una invidiabile sensibilità interpretativa che fuoriesce ad iosa nelle riprosizioni delle due tracce non originali: “Shyne Things” firmata dal binomio Tom Waits / Kathleen Brennan e “Oclupaca” del grande maestro Duke Ellington. Il quintetto si muove con maestria in ogni ambito della selezione musicale con i due fiati di Vignato e Dalla Pozza in grande evidenza e con la sei corde di Circelli che si rivela espressione di un layout certamente particolare ai quali si affianca una sezione ritmica incandescente che apporta vigore e impulso ritmico fondamentale in ogni momento della performance esecutiva. Nel suo insieme anche questa è un’altra bella testimonianza del grande amore per il jazz che le giovani generazioni di musicisti italiani amabilmente nutrono.


mercoledì 6 marzo 2013

Omens & Talismans

Farthest South

Farsouth West Records
 

E’ un flusso costante di suoni urbani tipici di una qualsiasi grande città metropolitana a costituire il layout di base di questa proposta discografica che arriva dalla scena d’avanguardia di Tel Aviv, in Israele. Protagonisti il chitarrista Barry Berko, noto esponente di musica contemporanea e rock alternativo; il bassista Yair Yona molto attivo in  ambiti di musica psichedelica e jazz d’avanguardia; il DJ di professione Yair Etziony, specializzato in elettronica e minimal techno. La triade diventa quartetto con l’inclusione del sassofonista Albert Berger vero rappresentante del filone free e di cui ho già recensito in questo blog il cd There’sNothing Better To Do inciso in duo con il percussionista Gerry Hemingway. A questo layout di base, a metà tra la techno e l’ambient music, si associano i fraseggi nervosi e scomposti del sax di Berger e le lancinate sferzate elettriche della chitarra di Berko mentre i suoni elettronici di Etziony gravano in termini di effettismo sonoro sull’incessante flusso scandito con ostinata forza temporale dal bassista Yona. Una proposta che prova a spingersi oltre certe coordinate espressive d’avanguardia e che mescola con coraggio elementi che facilmente potrebbero inficiarne il risultato. Non a caso il nome scelto dal gruppo fa riferimento agli esploratori del 20° secolo che con coraggio si spingevano più a sud possibile, il tutto inteso come ad una rinuncia ad una certa staticità artistica, ad un affossarsi su territori già collaudati negandosi a stimoli nuovi ed inediti. Omens & Talismans premia l’azzardo del quartetto perché l’opera che ci restituiscono desta curiosità e interesse.

Giuseppe Mavilla
 

martedì 19 febbraio 2013

Enter

Bad Uok

Auand Records 

Da un quartetto di giovani musicisti ecco una produzione che si distingue tra le tante che affollano il panorama musicale italiano in un settore, quello del jazz, sul quale si focalizza l’attività di questo blog. Si chiamano Bad Uok e sono: Leonardo Rizzi, chitarra e chitarra baritono, Federico Pierantoni, trombone, Andrea Calì, Fender Rhodes e piano, Andrea Grillini, batteria. Per la Auand Records hanno pubblicato a metà dello scorso gennaio il cd Enter una proposta che si fa ascoltare con interesse per una certa freschezza di idee che l’accompagna. I quattro componenti amano l’interazione vibrante e ricercata, le strutture articolate, le contaminazione tra rock e jazz, un certo minimalismo creativo e non rinunciano ad una puntatina un pò retrò, tipicamente nu-jazz, nella terza selezione, “105 Pt.2” delle undici che costituiscono il contenuto di questo loro lavoro discografico. Un album che si apre con un “Intro” dall’umore ambient e prosegue con la verve, in buona parte rock, di “105 Pt.1”. Ma proseguendo l’ascolto risalta quell’aspetto articolato nelle strutture di alcune composizioni, prima evidenziato, che riservano piacevoli e improvvisati cambi d’atmosfera e di tempo che sorprendano l’ascoltatore appassionato e catturano l’attenzione anche di un improvvisato interlocutore distratto. In tal senso si muovono “66” e “112” brani intitolati con cifre come la maggior parte di quelli presenti in questo cd, brani, come tutti gli altri, nati dalla fertile vena creativa di Andrea Grillini e Federico Pierantoni. Si chiude con il climax rarefatto della title track che sembra rasserenare i vorticosi intrecci tra chitarra e tromboni e interrompere i flussi percussivi e contrappuntati di pianoforte e batteria di un album denso di creatività e di stimoli che aprono promettenti orizzonti per il fututo dei Bad Ouk.