martedì 25 ottobre 2016

Chicago Conversations

Peter A. Schmid

Creative Works


Classe ’56, svizzero di nascita e residenza, ha trascorsi importanti con musicisti come Evan Parker, Pierre Favre, Barry Guy. E’ il sassofonista e clarinettista svizzero Peter A.Schmid, infatuato di free e degli umori della windy-city a tal punto che pianificando una pausa nella sua attività professionale di medico è volato a Chicago il 31 agosto del 2014 e, arrivato a destinazione, si è chiuso per un giorno allo Strobe Recording  registrando nell’arco di 24 ore questo album ora edito dalla Creative Works. Ventiquattro tracce tra frammenti sonori e brani veri e propri, a differenziali la durata in termini di tempo, alcuni infatti non superano il minuto, in cui il nostro (clarinetto basso e contrabbasso, sax baritono e sopranino) interagisce con le percussioni di Michael Zerang; il clarinetto basso e il sax tenore di Keefe Jackson; il clarinetto contralto di Wacław Zimpel; le percussioni di Frank Rosaly; il contrabbasso di Albert Wildman; la cornetta di Josh Berman e il trombone di di Nick Broste. Un ventaglio di combinazioni variegate riassumibili in quindici duetti e nove trii, una tendenza chiara verso un ambito dì espressività improvvisata, prevalentemente fatta di sonorità cupe e fragori percussivi. Composizioni che prendono vita istantaneamente alle loro esecuzioni, climi nervosi, timbriche spesso estremizzate, fraseggi imprevedibilmente swinganti quando a confrontarsi sono strumenti a fiato e umori cameristici, il tutto a corredo di una produzione certamente di rilievo e, in assoluto, da ascoltare.

domenica 16 ottobre 2016

America’s National Parks

Wadada Leo Smith

Cuneiform


Da qualche tempo il trombettista Wadada Leo Smith sembra aver indirizzato la sua produzione su due percorsi decisamente diversi l’uno dall’altro. Da una parte incisioni con ensemble più o meno nutriti come ad esempio Ten Freedom Summers o The Great Lakes, dall’altra incontri a due come il recentissimo, qui recensito, A Cosmic Rhythm With Each Stroke, a fianco del pianista Vijay Iyer. Quella di cui vado a raccontarvi è un’opera ispirata dal prestigioso patrimonio dei Parchi Nazionali Americani e di cui si prende cura un’istituzione come la National Park Service, creata cento anni fa con atto del congresso, il 25 agosto del 1916, di cui quest’anno ricorre il centenario. Smith a poco meno di due mesi dal suo settantacinquesimo compleanno si concentra su alcune di queste bellezze naturali e dà alla luce quest’album in compagnia del suo Golden Quintet che lo vede a fianco di Anthony Davis, pianoforte; John Lindberg, contrabbasso; Pheeroan akLaff, batteria ed Ashley Walter, violoncello. Ma ad ispirarlo non è come si potrebbe facilmente pensare la bellezza di questi luoghi, bensì come lui stesso dice ………….”la mia attenzione si concentra sulle dimensioni spirituali e psicologiche dell’idea di mettere da parte riserve per la proprietà comune di cittadini americani”...... e su questo nascono le sei composizioni che occupano i due cd. Di fatto sei componimenti musicali che si sviluppano su vari ambiti, ambiti tra i quali Smith si esprime con determinazione attraverso un interplay dalle varie sfaccettature. Come, ad esempio, in “New Orleans: The National Culture Park USA 1718”, dove l’intro si sviluppa in chiave jazz con una sottile velatura blues, ma non mancano intervalli cameristici in cui il violoncello di Walter è protagonista. E’ comunque Smith ad infiltrare con la sua tromba una dialettica che spesso si fa viscerale, cupa e dai toni gravi in cui Davis al pianoforte lancia lampi di luce accecante e illumina l’orizzonte con la maestosità del suo pianismo. Straordinario anche il contributo del contrabbasso di Lindberg,  più volte in simbiosi con il violoncello di Walter e ai quali si affianca  il drumming superlativo di akLaff.  E’ un lavoro di rara magnificenza e completezza questo di Smith che certifica la grandezza compositiva e la visione artistica di un maestro concertatore e di un grande saggio del jazz contemporaneo.


martedì 4 ottobre 2016

The Bell

Ches Smith  Craig Taborn  Mat Manieri

Ecm


Il batterista Ches Smith si è già rivelato, tra l’altro, attraverso il sue essere membro dei Tim Berne’s Skaneoil nonché da leader del gruppo These Arches. Ora approdato alla Ecm ci propone otto composizioni   a sua firma  eseguite con il pianista Craig Taborn e il violinista Mat Manieri. Il trio si muove attraverso un percorso  contaminato da vari elementi: il genero classico, l’improvvisazione jazz, la ricerca nel filone contemporaneo. L’apertura con la title track vede i tre intersecarsi con impulsi sonori, velati accenni di melodie, eruzioni percussive e laceranti sviolinate. Ma è “Isn’t it Over” due brani più avanti, a tracciare un tema breve ma sufficiente a delineare un tratto danzante che la viola di Manieri, prima, e il vibrafono di Smith , dopo, esplicano come fonte irrorante di una porzione improvvisativa che vedrà il trio in totale simbiosi. Poi il verbo espressivo sembra impinguarsi di ritmo brioso e armonia: è la volta di “Wacken Open Air” intensa, avvolta in un turbinio svolazzante. E’ un layout esclusivo, quello dipanato da Smith, Manieri e Taborn , non etichettabile, fantasioso e cangiante, come gli ambiti in cui si svela “It’s Always Winter Somewhere” quasi barocca in qualche passaggio ma al tempo stesso estrosa e ritmicamente sinuosa. Opera di grande pregio questa di Smith e soci che da qualche settimana dimora indisturbata sul mio player.

domenica 25 settembre 2016

Super Petite

The Claudia Quintet

Cuneiform




E' un quintetto eclettico il “Claudia” del batterista John Hollenbeck, tanto quanto il suo leader da sempre impegnato in vari percorsi. Geniale musicista che sembra nutrire un debole verso l'attività di questo ensemble al quale, di tanto in tanto, si dedica. Per quest'ultima produzione, che porta in titolo il soprannome assegnato dal nostro ad uno dei fan più incalliti del quintetto, Hollenbeck ha composto dieci brani, nell'insieme un universo sonoro ricercato, con qualche citazione del passato ma nella maggior parte dei casi proiettato sul presente con un layout raffinato e intrigante che denota la peculiarità stilistica di ognuno dei componenti il quintetto. Quest'ultimo rivela un avvicendamento, Red Wierenga, fisarmonica e pianoforte che sostituisce Ted Rechman, e che si completa con Chris Speed, clarinetto e sax tenore; Dew Gress, contrabbasso; Matt Moran, vibrafono; John Hollenbech, batteria. Per cominciare le citazioni, la prima delle quali è contenuta nell'iniziale “Nightbreak” brano dall'ambient cameristico ma elegantemente colorato e costruito sulla reinvenzione rallentata del tema di “Night Of Tunisia” di Charlie Parker; la seconda “Philly” riferita ad una tipica citazione ritmica del famoso batterista Philly Joe Johnson, è un brano tipicamente jazz di cui è protagonista Chris Speed con una lunga improvvisazione. Per continuare i ritmi e le interazioni funky di “JFK Beagle” la fluidità da modern jazz di “A-List” la poliritmia di “Rose-Colored Rhythm” ispirata ad un'opera del batterista senegalese DouDou N'Diaye Rose; gli umori orientaleggianti dell'ostinato, ritmicamente sostenuto, unisono clarinetto-fisarmonica in Pure Poem” ispirato ad un scritto del poeta Shigeru Matsui. Per finire l'eloquio cameristico di Mangold, una melodia rarefatta a ricordo di un ristorante vegetariano che si trova a Graz in Austria, frequentato da Hollenbeck durante le registrazioni di  Joys & Desires  di cui se ne siete curiosi potete leggerne qui la recensione a mia firma. Tornando a Super Petite e al suo variegato e prezioso mosaico di stili e sonorità non rimane altro che aggiungere che Hollenbech e compagni hanno confezionato un altro ottimo lavoro, tra i migliori, fin qui ascoltati, in questo 2016.  


domenica 18 settembre 2016

Old Locks and Irregular Verbs

Henry Threadgill Ensemble Double Up

Pi


Con il nuovo Ensemble, denominato Double Up, il sassofonista e flautista di Chicago, Henry Threadgill, si propone nel suo recente album dedicato all’amico e grande musicista Lawrence D. “Butch” Morris. Una configurazione singolare che include due pianoforti, quelli di David Virelles e Jason Moran; altrettanti sax alto con Roman Filiu e Curtis MacDonald; Christopher Hoffman: violoncello; Jose Davila: tuba; Craig Weinrib: batteria. Conclusa quindi l’esperienza con il precedente gruppo, Zoid, Threadgill, che in contemporanea alla pubblicazione di questo album ha ricevuto il premio Pulitzer per la sua precedente opera “In for a Penny, In for a Pound” si concentra esclusivamente sulla composizione. Sua la firma sulla suite in quattro parti che da il titolo all'album nonché la conduzione dell'ensemble quasi a ripercorrere le orme del suo grande amico Lawrence. Sono i due pianoforti ad aprire la prima delle quattro parti con fraseggi e interazioni che precedono l’irrompere di un intreccio sonoro con in evidenza un tema che viene ripreso a turno sia dai fiati che dalle tastiere, con spazi ottimamente calibrati per l'improvvisazione. Dialoghi a due nella più contenuta, in termini temporali, parte seconda, fra viola e tuba prima e pianoforte e sax dopo, ai quali si aggiunge un travolgente solo di batteria di Weinrib. Poi il via alla parte terza con il violoncello di Hoffman intento a tracciare una melodia, a tratti struggente, in un contesto che potrebbe apparire inizialmente tipico di una ballad ma che poi si inerpica in dinamiche improvvisative anche in questo caso esplicate a turno da fiati e pianoforti. Straordinarie interazioni e, come prima, una sorta di flusso sonoro dove i vari elementi entrano in gioco al momento giusto e si incastrano l'uno accanto all'altro in maniera perfetta. Grande jazz e grande musica in assoluto che trova naturale sublimazione nella parte finale, la quarta, una partitura di straordinaria bellezza costruita su varie sfaccettature tra momenti riflessivi ed esplosioni di straripante intensità. Musica senza tempo che vive di una forza espressiva di grande impatto, che ingloba la spontaneità del jazz di matrice tradizionale e i percorsi innovativi del jazz di oggi. Un must!


martedì 28 giugno 2016

Convallaria

Thumbscrew

Cuneiform


Dopo il primo album omonimo il trio di May Halvorson, chitarra, Michael Formanek, contrabbasso e Tomas Fujiwara, batteria, ritorna con una nuova produzione. Un lavoro che conferma ancora di più quanto sia stato arguto da parte dei tre protagonisti intuire l’effettiva opportunità che poteva offrire a loro stessi e a noi appassionati ascoltatori, l’unione di tre individualità uniche nel jazz contemporaneo. Sull’esclusività di una musicista come Mary Halvorson mi sono espresso più volte e devo confessare che mi sento di ribadire ogni volta di più, quanto ci fosse bisogno di un’ artista come lei per rivalutare o comunque reinventare il ruolo della chitarra in un ambito jazz. Su Formanek che non è necessario aggiungere altro se non affrettarmi a recensire il suo e dell’ensemble Kolossus The Distance, mentre continua a sorprendermi Fujiwara che in questo ambient si rivela una volta di più fantasioso e raffinato. Ed è così che l’ascolto delle undici tracce fluisce meravigliosamente scandagliando un ampia gamma di intrighi sonori. Tutto è stato generato durante le due settimane di residenza del trio presso la City of Asylum  di Pittsburg, un luogo pensato per poeti in esilio, da qualche tempo aperto a una vasta gamma di artisti tra i quali anche a musicisti. Ebbene i tre hanno messo su undici composizioni originali con le quali tessano una fitta ragnatela sonora fatta di sofisticate interazioni in ambiti che inglobano dinamiche jazzistiche di stampo avant, sfaccettature rockeggianti, velate inflessioni country ed sfumate melodie esotiche. Dall’iniziale  “Cleome” con i suoi risvolti rock, alla conclusiva, quasi danzabile “Inevitable” è tutto un susseguirsi di variegate combinazioni musicali tra le quali vanno citate la ritmica jazz di “Barn Fire Slum Brew”e l’intrigante vibrato di “Trigger” a seguire la solitaria intro di Formanek al contrabbasso; il trionfo dell’elettronica in “Screaming Piha” e i cambi di tempo della title track; i bagliori free di “Tail of The Sad Dog” e le nervose incursioni di “Danse Insensé”; Un festival di suoni e colori tutto da godere.

giovedì 23 giugno 2016

A Cosmic Rhythm With Each Stroke

Vijay Iyer / Wadada Leo Smith

Ecm


Ancora un incontro a due per il trombettista Wadada Leo Smith dopo le sontuose opere in ensemble più ampi negli ultimi anni. In questo nuovo album che vede il suo ritorno alla Ecm troviamo  al suo fianco il pianista Vijay Iyer entrambi alle prese con un’ opera che celebra un’artista indiana il cui nome è Nasreen Mohamedi. A lei è infatti dedicata una suite in sette movimenti che occupa quasi l’intero album con un brano di Leo Smith che la precede e uno Iyer che gli si accoda. Una performance intensa e vissuta in ogni piccola porzione per due musicisti che appartengono a due generazioni diverse eppure risultano essere fortemente ammirati l’uno dell’altro. Ricordo che Iyer ha fatto parte del Golden Quartet che ha accompagnato per molto tempo Leo Smith, due musicisti comunque fra i più interessanti oggi sulla scena del jazz internazionale. Dopo l’iniziale “Passage” una sorta di rilassata e meditativa introduzione all’ascolto dell’album,  è la tromba di Leo Smith a squarciare l’ambient rarefatto dell’intro di “All Becomes Alive” condizionato solo dal loop di un’elettronica di cui si prende cura Iyer. Nel resto del brano ci si imbatte sull’ostinata nota di basso che accompagna prima i preziosi fraseggi al pianoforte del pianista indiano e poi il dialogo fitto fra quest’ultimo e Leo Smith.  Tensioni free costellano “Labyrints” traccia n.4 e un dialogo tra minimalismo e suoni asettici straripa da “Uncut Emeralds”. A chiudere ci pensa “Notes on Water” brano extra suite firmato dal pianista, che sembra proiettarci verso spazi ancestrali. Un’opera questa della coppia Leo Smith / Iyer straordinariamente affascinante e inesauribile fonte emotiva. Indispensabile.


mercoledì 22 giugno 2016

Saadif

Hyper + Amir ElSaffar

nusica.org


Nuovo progetto per tre dei più rappresentativi musicisti che orbitano attorno all’etichetta nusica .org. Sono il sassofonista Nicola Fazzini, lo specialista di chitarra basso, acustica, Alessandro Fedrigo, vera anima dell’etichetta, è lui che l’ha pensata e creata e il batterista Luca Colussi. Si chiama Saadif ,ovvero, incontro e segna la loro collaborazione con  il trombettista iracheno, nato a Chicago ma oggi cittadino newyorkese, Amir ElSaffar, di cui vi ho raccontato a proposito del suo album Alchemy, potete leggerne la recensione qui. Una collaborazione che affianca la matrice jazz europea, fatta di ricercate strutture compositive, da sempre insite nelle produzioni dei tre musicisti italiani, con la musica araba-africaneggiante di ElSaffar. Il risultato è una selezione di pregevoli brani, sei per l’esattezza, che si apre con“Mono Esa Tono”  una ben riuscita coniugazione di passato e presente, di tradizione e contemporaneità. Poi arrivano le orientaleggianti esternazioni vocali di ElSaffar, nell’intro di “Kosh Reng”, quasi una nenia rituale araba che precede l’arrivo di un flusso ritmico ostinato ed ipnotico, splendidamente scandito dalla coppia Fedrigo-Colussi a supporto degli interventi ai fiati del binomio Fazzini-ElSaffar che opera in perfetta simbiosi. Ricca di simili effusioni sonore è anche “13th of November” diversa strutturalmente ma officiante, armonicamente, l’universo arabo. Tra ritmi velatamente funky e inflessioni post-bop si snodano “Hyper Steps” e “Futuritmi” già incisa in una precedente produzione dall’XY Quartet di cui fanno parte i tre musicisti veneti; mentre “Human Tragedy” in chiusura dell’album sembra avvicinare il suono dell’ensemble verso ambiti più mediterranei. Un’opera, questa numero nove di nusica.org, perfettamente riuscita nel suo intento di celebrare musicalmente l’incontro oriente e occidente. Un magnifico esempio di sintesi tra modern jazz ed elementi propri  della cultura musicale araba come il maqâm, che il trombettista iracheno ha già metabolizzato nel suo layout espressivo.


giovedì 2 giugno 2016

Kaze al Torresino di Padova

27 maggio 2016

live concert


Unica data italiana, quella di venerdì 27 maggio, per il quartetto Kaze di Satoko Fujii, Natsuki Tamura, Christian Pruvost e Peter Orins che ha fatto tappa al Torresino di Padova nell'ambito della rassegna del Centro D'Arte degli Studenti dell'Università. Evento atteso, come molti fra quelli programmati dall'associazione nei settantanni di attività. Sulla scena un quartetto dal profilo espressivo certamente unico e stimolante. Una delle tante ramificazioni dell’attività di una musicista, straordinariamente prolifica, che qui prova ad andare abbondantemente oltre i limiti di una convenzionalità sonora  già non tale, in assoluto, nella sua natura artistica.

venerdì 11 marzo 2016

Ah!

Pollock Project

Be Human Records


Nuova produzione per i Pollock Project del compositore e pluristrumentista Marco Testoni, vera anima del gruppo di cui vi ho raccontato in occasione della pubblicazione del precedente album “Quixote”. Di quell’organico oggi rimane il solo Testoni al quale si aggiungono, nel trio di base, la vocalist Elisabetta Antonini e il sassofonista e clarinettista Simone Salza. Quello che invece si riconferma caratterizzante anche in questa occasione, ancor più della precedente, è la capacità dell’ensemble di stupire per la spiccata attitudine ad arricchire e contaminare la propria espressività con svariati elementi provenienti da vari ambiti musicali. Ed allo stesso modo è da sottolineare la vasta gamma di situazioni dalle quali le composizioni della band prendono spunto. C’è anche in questa occasione la conferma di un obbiettivo primario, per Testoni e soci, che è quello della musica visuale attraverso una sintesi di elementi che riconducono chiaramente al jazz, all’elettronica e alla musica per immagini. Scorrendo l’ascolto delle dieci tracce di questo nuovo lavoro, realizzato con l’ausilio di altri musicisti ospiti, c’è da stupirsi non poco già dall’iniziale “Aura” un caleidoscopio di ritmo, armonia e sonorità variegate, dedicato alla città spagnola di Barcellona. Come nel precedente album anche in quest’ultimo ritroviamo la rilettura di un brano di John Coltrane. E’ “Naima” con tutto il suo ventaglio di suggestione, spiritualità e magia. I Pollock Project ne coniano una versione estasiante  sicuramente unica. Le successive tre tracce chiudono una prima metà dell’album densa di suoni world, di interazioni ritmiche, di ironia dissacrante come quella di “Gonzo Entertainment” dedicata alla frivolezza dell’universo televisivo. Le rimanenti cinque tracce si orientano invece verso ambiti più tecnologici, verso musiche più d’avanguardia, come una altra rilettura “Vauro” dei Sigur Ros, una band islandese di post-rock, riproposta provando ad accostare nord europa e mediterraneo attraverso un layout jazzistico minimale. Ed ancora mi ha sorpreso e appassionato la successiva “Anna Blume” che è anche il titolo di una poesia dadaista, scritta da Kurt Schwitters, a cui il brano è ispirato. Mi hanno incuriosito le sue sonorità sintetiche, il  pseudo ostinato che percorre il brano, gli inserti vocali e strumentali così ben amalgamati. Cos’altro aggiungere se non una  lode al trio Testoni-Salza-Antonini per un progetto che nella sua interezza è un’opera esclusiva. 


domenica 1 novembre 2015

Hera

Le Pot

Everest


E' stata la chiesa di St. Romanus a Ranus, in Svizzera, l'esclusiva location scelta dal quartetto elvetico Le Pot per le sedute di registrazione di questo loro recentissimo cd. Manuel Mengis alla tromba ed elettroniche, Hans-Peter Pfammatter ai sintetizzatori, Lionel Friedli alla batteria e Manuel Troller alla chitarra hanno impiegato quattro giorni per dare vita a questa loro produzione in bilico fra jazz, avanguardia, tecno e ambient music. Ma c'è anche un preciso riferimento, in stretta relazione con la loro espressività, ed la musica di Benjamin Britten nel cui repertorio i quattro hanno pescato alcune composizioni che qui hanno sviluppato secondo il loro layout espressivo affiancandole ad altre da loro stessi firmate e privilegiando in entrambi i casi l'improvvisazione. Ed cosi che il percorso, costellato di ben undici episodi, si rivela già dall'iniziale “Eyrie” denso di mistero. I suoni sembrano trascendere la realtà, moltiplicarsi, frammentarsi in una frenetica rincorsa verso l'indefinito. Le sonorità sintetiche e l'intenso flusso ritmico di “Flint” preludono ad un breve episodio caratterizzato da un fraseggio armonico di Mengis alla tromba: è l'intro di “Thus Gamesters United in Friendship/Ungrateful Macheath!” che poi andra ad evolversi in svariate mutazioni sia ritmiche che sonore. Poi l'atmosfera sembra acquietarsi con i rarefatti umori di “Hamada/Requiem Aeternam” e i minimalismi narrativi di “Ranunkel und Viola” con la tromba di Mengis protagonista, qui come in tutto l'album, con una vocalità variamente modulata e fortemente espressiva che lascia spazio nel finale al ritmo quasi tribale di Friedli alla batteria. Arriva in successione, inaspettato con “Meanwhile” traccia n.8, un eloquio di free bop claunesco e ironico mentre “Now Until The Break of Day” con il suo riff ostinato ed elementare chiude con leggerezza un album intriso di imprevedibilità e ricercatezza.


lunedì 17 agosto 2015

Random²

Nicola Fazzini – Minimum Sax

nusica.org




Il collettivo nusica.org ha dimostrato nel corso di questi anni di essere innanzitutto un insieme di musicisti prolifico e ricco di idee. Il tutto ha fin qui prodotto, compresa quest’ultima, ben otto produzioni musicali rilasciate sempre e comunque attraverso la filosofia principe di questa etichetta che è quella della condivisione in rete  a cui si aggiunge, come ho già scritto altre volte recensendo le precedenti produzioni, la possibilità dell’acquisto dei cd fisici che sono stampati in tiratura limitata e numerata. A chiunque fosse interessato ricordo che è possibile leggere le mie recensioni sulle precedenti incisioni inserendo  “nusica” nella casella di ricerca di questo blog. Questa ottava produzione è firmata esclusivamente dal sassofonista Nicola Fazzini, unico interprete al sax alto di un’opera singolare, sia nel suo concepimento che nella sua particolare fruizione. Fazzini ha scritto per questo cd ed incluso in esso  ben 46 composizioni o per meglio dire 46 frammenti sonori, se teniamo conto che solo poche di esse superano di una manciata di secondi il minuto di durata, raggruppate in dieci matrici differentemente  denominate. Fin qui sembrerebbe tutto normale se non fosse che ogni cd reca le 46 composizioni in un ordine diverso dall’altro e che le stesse composizioni possono essere ascoltate in streaming con un ordinamento variabile  soltanto attraverso il refresh della pagina web che li contiene e che potete visitare cliccando qui. Ma non è tutto perché anche l’ipotetico acquirente del cd ha la possibilità di intervenire, durante l’ascolto, nel relativo ordinamento dei brani, attivando sul proprio player la funzione random. E’ chiaro che tutto ciò rende questa produzione unica e sicuramente discutibile, ma la filosofia di nusica.org non teme confronti di sorta. Fazzini si muove nell’ambito di un universo jazzistico d’avanguardia e di ricerca e anche questa sua ultima fatica è densa di stimoli e intuizioni da approfondire e sviluppare.

domenica 16 agosto 2015

Rune

Earth Tongues

Neither/Nor


La Neither/Nor Records è un’etichetta discografica che ha sede a New York e che si presenta come dedita alla musica improvvisata e avventurosa. Finora sono state tre le produzioni edite, tra le quali c’è questo Rune del trio Earth Tongues formato dal trombettista Joe Moffett, dal tubista Dan Peck e dal percussionista Carlo Costa. Alla dotazione strumentale appena descritta si aggiunge un cassette player affidato a Peck, nelle quattro composizioni inserite nel cd. Un’opera certamente diversa dagli standard abituali del jazz contemporaneo che nasce nella New York dei fermenti innovativi, tra musicisti ossessionati dalla ricerca a tutti costi. Ed è così che ci si ritrova ad ascoltare un combo intento a rincorrere una relazione tra suoni di differente natura: rumori, note musicali, battiti di ritmi irregolari e frammenti di melodie. Come entrare in un tunnel sonoro, in puro ambient minimalista e viaggiare tra i meandri di un universo tecnologico e misterioso. Un’esperienza di grande fascino, quasi una scommessa con il pensiero normale di chi arriverebbe a definire inascoltabile questa produzione. E invece….. tutt’altro! perché Moffett, Peck e Costa captano e restituiscono qualcosa di esclusivo, certamente straniante ed imprevedibile. Un’audace scelta espressiva che merita grande attenzione.


domenica 9 agosto 2015

RelativE ResonancE

Devin Gray

Skirl

Che il batterista Devin Gray abbia già rivelato tutte le sue doti di strumentista e di scrittura, di un jazz fortemente imparentato con la contemporaneità, è cosa oramai assodata vista la pregevole fattura della sua opera prima, Dirigo Rataplan, di cui potete leggere qui la recensione. Tre i musicisti a coadiuvarlo in quell'incisione: Dave Ballou alla tromba, Ellery Eskelin al sax e Michael Formanek al contrabbasso, sostituiti dalla pianista Kris Davis, dal contrabbassista Chris Tordini e dal  sassofonista e clarinettista Chris Speed in questo nuovo e avventuroso percorso che si traduce in un concatenato fluire di interazioni soniche e ritmiche racchiuse in otto composizioni originali firmate da Gray. Dopo i due episodi iniziali “City Nothing City” e “In the Cut” fortemente impregnate di free bop arriva l’intensa e magmatica “Notester” un mosaico sonoro, in continuo crescendo fra scrittura e improvvisazione, costruito, passo dopo passo, con il paritario contributo di ognuno dei quattro. Gray e soci esprimono poi un ambient cameristico, nella prima parte dell’intrigante “Jungle for Design” scritta per l’illustratrice Hannan Shaw, che si sviluppa nella sua seconda parte in pieno climax jazzistico. L’ascolto procede con l’incalzante “Transatlantic Transition”  impinguata costantemente di urgenza espressiva, che solo nel finale concede una pausa con le danzanti note del pianoforte della Davis, mentre è la title track scritta per il grande Tadd Dameron a far riemerge umori bebop velati in qualche passaggio di hard. Album di grande fascino e coinvolgimento, questo secondo di Gray, proiettato su orizzonti innovativi e contaminanti, che si ascolta e riascolta senza mai deludere, sorprendendo di volta in volta per l’intensità delle sue trame musicali. Il batterista conferma le sue enormi doti di scrittura e di strumentista, di cui scrivevo prima, il suo drumming è incessante e appropriato in ogni condizione e i musicisti che lo affiancano, come risaputo, sono tra il meglio che la scena d’avanguardia newyorkese possa offrire. La Devis e Speed appaiono straordinariamente ispirati e il contrabbasso di Tordini si mostra vigoroso e dinamico. In definitiva questo è un cd fortemente consigliato.

mercoledì 27 maggio 2015

Pop Corn Reflections

Rosario Di Rosa Trio

Nau


Nuovi orizzonti espressivi si delineano nel linguaggio jazz del pianista Rosario Di Rosa e del suo trio formato da Paolo Dassi al contrabbasso e all’elettronica e da Riccardo Tosi alla batteria. L’approdo all’ etichetta discografica milanese Nau Records, nata nel 2011 per volontà di Gianni Barone, sembra aver dato nuova linfa creativa al musicista siciliano che comunque aveva già fatto notare le sue qualità artistiche con le precedenti produzioni. In questo Pop Corn Reflection c’è qualcosa di più: c’è voglia di innovarsi, di contaminare il proprio layout compositivo e di tracciare percorsi inediti. Per fare ciò il trio arricchisce la propria configurazione base (pianoforte-contrabbasso-batteria) con vari strumenti elettronici ed esordisce in apertura delle selezioni in preda all’ossessione ritmico-tecno di “Pattern n.74 – Serie” e all’urgenza espressiva della successiva “….And Peanuts for All”. Ma è la traccia n.3 “Steve Reich Reflection” chiaramente ispirata ad uno dei maestri del minimalismo a sorprendere per la sua struttura articolata. A seguire sopraggiunge la magnificenza lirica di “Spring n.35” che mette in evidenza, se mai c’è ne fosse bisogno, anche le capacità tecniche e la sensibilità artistica, oltre che del leader,  anche del binomio Dassi-Tosi. Il proseguo dell’ascolto, dei rimanenti brani, evidenzia il riproporsi degli elementi già evidenziati, in un alternarsi di scrittura e improvvisazione, con ricorrenti passaggi di stampo minimalista. Ed eccomi, allora, totalmente rapito dalla sfaccettata struttura di “Hattori Hanzo Reflection” o dalle ricercate interazioni presenti in “Variation on Schӧnberg’s Klavierstcke op 19 n.2” variazioni sulla stessa opera scritte da Di Rosa. Un lavoro ambizioso, questo del pianista e del suo trio, ottimamente riuscito e di grande originalità.


venerdì 15 maggio 2015

Stilelibero

Luigi Vitale / Luca Colussi

nusica.org

E’ stato poco più di un anno fa che il vibrafonista Luigi Vitale e il batterista Luca Colussi si sono ritrovati per registrare quella che adesso è la settima produzione per l’etichetta nusica.org. Il titolo, Stilelibero,  ne descrive chiaramente lo spirito con il quale è stata concepita. Vitale e Colussi hanno provato per una intera giornata a dialogare senza costrizioni e senza percorsi prestabiliti, registrando ben sette ore di musica dalle quali, come raccontano presentando il cd, hanno estrapolato le otto tracce che ne costituiscono la selezione. Otto episodi che celebrano l'interazione ritmica fra i due musicisti che insieme al bassista Alessandro Fedrigo e al sassofonista Nicola Fazzini avevano condiviso la magnifica esperienza dell'album Idea F nell'ambito dell' XY Quartet. Qui si celebra l'interazione ritmica fra due specialisti, quali sono Vitale e Colussi, di strumenti come la batteria e il vibrafono ai quali si aggiungono rispettivamente per il primo: vibrafono preparato e vari di strumenti elettronici e per il secondo: sonagli, gong e altri oggetti sonori. I due disegnano in modo estemporaneo paesaggi inusitati; nel loro verbo c'è una spontanea capacità comunicativa che genera flussi ritmici in continua evoluzione. Ricerca e inventiva proseguono di pari passo a partire dalle rarefatte ed estese atmosfere dell'iniziale “Passaggi Nordici” mentre il passo cadenzato di “Fuga e Liberta” è l'elementare elemento da dove prende vita uno dei brani più affascinanti di tutto l'album. Suoni estranianti, sospesi nel vuoto e nel tempo, nell'intro di “Instabilità delle acque” che sfocia poi in un incalzante flusso ritmico. E ancora “Suite Verticale” con i suoi tre movimenti in continuo divenire a rivelare la reale e indiscutibile magnificenza di questo lavoro di pura empatia, di spontanee convergenze e di assonanze di intenti fra due musicisti che aprono nuove vie all'espressività dei loro strumenti.


domenica 3 maggio 2015

Reverse Angle

Josh Deutsch / Nico Soffiato

Self Produced


Dopo le abrasive sonorità e i contrasti dinamici del suo precedente Ost Quartet l'italianissimo chitarrista padovano, Nico Soffiato, da anni residente a Brooklyn, si ripropone in compagnia del trombettista Josh Deutsch con il quale aveva condiviso nel 2011 un' esperienza discografica con un album  Time Gel come questo autoprodotto. Sonorità gradevoli e dinamiche acquietanti sono i presupposti per un album elegante e raffinato che si avvale del contributo di Zach Mangan alla batteria e di J.C. Maillard alle elettroniche. Deutsch ha il piglio lirico e ammaliante, la sua tromba cattura l’ascoltatore mentre Soffiato ricama con contrappunti e pregevoli dialoghi ogni passaggio dei nove episodi contenuti nel cd. Sette originali, alcuni a firma singola, altri in coppia e due arrangiamenti di cui si è esclusivamente occupato  Deutsch: un’intima riproposizione di un brano di Gershwin “Someone To Watch Over Me” e una personalissima rilettura della Patetica di Beethoven altrimenti conosciuta come la sonata per pianoforte n.8 opera 13. Sottolineature particolari meritano anche:  la title track che propende verso orizzonti rock; le atmosfere prevalentemente ballad di “Time Gel” e “Alabaster” nonché le ricercatezze minimali e rarefatte di “Salica Sand” e gli umori notturni di “Mix Tape”. Album intrigante e ispirato, piacevolmente godibile.

Giuseppe Mavilla

martedì 28 aprile 2015

Embrace The Wild

Mike Parker’s Unified Theory

Self Produced


Arriva a Cracovia da New York: è il contrabbassista Mike Parker che della città polacca è cittadino ormai da due anni. Questo invece è il suo secondo lavoro con musicisti, di quella parte dell’est europeo, quali Dawid Fortuna, batteria; Bartek Prucnal, sax alto; Slawek Pezda, sax tenore; Cyprian Baszynski, tromba. Un album di modern jazz che ingloba nelle otto tracce che contiene espressività varie e articolate. Il tutto restituito con forza e intensità avvolgenti attraverso dinamiche hard e post bop, impinguate dalle innegabili influenze di grandi musicisti come Coleman o Mingus. E’ il caso, in particolare, delle prime due tracce della selezione “Kobra Kai Dance Remix” e “Hopped up Pop” brani dalla straordinaria verve ritmica e dall’intenso interplay, con larghi spazi per l’improvvisazione. Il front line dei fiati, magnificamente assortito, è arricchito dalla puntuale e robusta sezione ritmica sempre in primo piano. Parker impugna l’archetto, inaspettatamente e per poche battute, quando introduce “Sendoff for Sendak” una ballata sinuosa e lirica che si sviluppa in crescendo prima dell’abrasivo e funkeggiante “Piwo I Bona”. E’ poi la suite in tre movimenti “All Saints” a chiudere l’album in pieno climax mutante, tra umori sinfonico - cameristici e (ancora) fluide ricorse in territori bop a testimonianza dell’estro sopraffino e creativo del contrabbassista newyorkese.

lunedì 30 marzo 2015

Le trame del Legno

Federico Bagnasco

Old Mill



E’ un approccio smisurato, un assalto alle possibilità espressive dello strumento contrabbasso. Ne è autore Federico Bagnasco, musicista ligure, coadiuvato da Alessandro Paolini impegnato a  quelle elaborazioni elettroniche che contaminano larga parte delle quattordici composizioni contenute in questo cd. All’interno di esse si ascoltano umori classici, elucubrazioni cameristiche, improvvisazioni di stampo jazzistico, manipolazioni di avanguardie espressive. Bagnasco non si pone dettami ne limiti, tranne quello di non strafare e ci riesce magnificamente. La sua creatività procede imperterrita dalla prima all’ultima traccia attraversando ambiti variegati e restituendoci un’idea del contrabbasso mai assunta prima. Grande fantasia e profonda ricerca nell’attività di manipolazione del suono generato dallo strumento e plasmato su registri sonori inconsueti; ampio uso dell’archetto e continuo rilascio di infusioni sonore e ritmiche di forte impatto. Un gioco appassionato e appassionante che lega idealmente il musicista e l’ascoltatore, come quello che si instaura tra la naturalezza delle trame del legno di un contrabbasso e i chip degli elaboratori elettronici che ne filtrano il suono. Una produzione,  impossibile da etichettare, che brilla di esclusività e che va assolutamente ascoltata.
Giuseppe Mavilla


lunedì 16 marzo 2015

Corde Alterne

Roberto Gemo / Alessandro Fedrigo

nusica.org


Non del tutto inedito il duo protagonista di questo cd, Roberto Gemo ed Alessandro Fedrigo sono stati in un recente passato parte dell’Ar-men Trio e successivamente  hanno portato in giro in un unico spettacolo le loro proposte in solo, condividendo anche in momento in duo. In questa produzione numerata “06” nel catalogo della singolare etichetta trevigiana nusica.org Gemo e Fedrigo provano a sintetizzare le loro diverse anime musicali. Gemo ha un profondo legame per il mondo classico, ma si mostra parecchio lusingato dal country rock acustico di stampo americano. Predilige la tecnica del fingerpicking e in questa incisione lo troviamo alle chitarre: classica, soprano e baritono nonché all’elettrica e agli effetti; Fedrigo evidenzia invece una notevole propensione verso la musica jazz, è uno studioso delle possibilità espressive della chitarra basso acustica, ascoltate al tal proposito il suo album Solitario, ma in questa occasione imbraccia anche il basso elettrico e si occupa nel contempo delle voci e degli effetti. Quindici le composizioni incluse nell’album, tutte originali e tutte uscite dall’estro compositivo dei due protagonisti. La traccia d’esordio, che da il titolo all’album, delinea i presupposti primari di un dialogo che si fa  sempre più intenso e vario man mano che si va avanti nell’ascolto. Gemo e Fedrigo disegnano splendide melodie, preziose essenze di  composizioni dalle strutture composite dove c’è spazio per l’improvvisazione. Basta ascoltare “Per Sempre” o le struggenti armonie di “De Molen”  che Gemo traccia con raffinato incedere prima di imbattersi nella fedrighiana “Obuscurio”. Un brano dai toni scuri in cui, per i primi due minuti, è protagonista la chitarra basso acustica dell’autore che subito dopo instaura un intenso processo interattivo con la chitarra di Gemo. Il culmine della genialità comunicativa tra i due musicisti si realizza in “Valzer Amabile” vera perla dell’album mentre in “Falesie” si dispiegano  umori jazz intrisi di leggerezza e fluidità. Ad intervallare questi  e altri pregevoli episodi sono poi brevi brani in cui Gemo e Fedrigo percorrono sentieri espressivi legati ad ambiti progressive e rock noise. Momenti abrasivi, dissonanti, con largo uso di effetti elettronici, probabilmente estemporanei, con i quali i due protagonisti si concedono stimolanti divagazioni sonore ed esecutive.  Le Code Alterne di Gemo e Fedrigo ci regalano una riuscitissima produzione in pieno stile nusica.org fruibile in rete attraverso i suoi contenuti multimediali e di cui è, come sempre, disponibile anche il cd fisico, realizzato in tiratura limitata e numerata.


lunedì 2 febbraio 2015

Dagli Appendini alle Ante

Lorenzo Capello Quintet

OrangeHome


Brioso, ironico, dirompente. Così si presenta il Lorenzo Capello Quintet già a partire dalla traccia d'apertura di questo cd, il secondo della sua discografia. I cinque raccontano in musica, metaforicamente, la condizione di chi non riesce mai a decidere, di chi non riesce mai ad uscire dal suo guscio, dal suo piccolo angolo di collaudata sicurezza pur avendone voglia. Giocando con il titolo di un celebre romanzo danno il nome all’album e rappresentano la metafora attraverso un individuo prigioniero del suo armadio e incapace di scegliere ciò che deve portare con sé nell’imminente partenza. Due fiati: il trombone di Tony Cattano e i sassofoni di Antonio Gallucci; il pianoforte di Lorenzo Paesani; Michele Anelli al contrabbasso e Lorenzo Capello, leader della formazione, alla batteria. A loro, in un brano, si aggiunge la cantante americana Echo Sunyata Sibley. Un album che si snoda attraverso un ventaglio di ambiti che vanno dal bop al jazz- rock, passando dalle parti del blues, dell’ hard bop e persino dello swing. A volte solo accenti, altre volte vere e proprie incursioni, che si succedono con frenesia e imprevedibilità, in una sequenza incalzante, cangiante e irrorata da pregevoli soli. Tutto ciò  delinea un ensemble dall’identità ancora non totalmente definita ma di certo con promettenti prospettive.


Per saperne di più visitate il sito dell'OrangeHome Records

venerdì 23 gennaio 2015

Conversations about Thomas Chapin

Stefano Leonardi / Stefano Pastor / Fridolin Blumer / Heinz Geisser

Leo


E' un quartetto italo-svizzero a focalizzare con questo cd la sua attenzione sul musicista e polistrumentista americano Thomas Chapin, scomparso nel febbraio del 1998, a poche settimane dal suo quarantaduesimo compleanno. Non molto noto ai più, Chapin ha lasciato segni indelebili del suo passaggio sulla scena del jazz contemporaneo, in particolar modo su quella della downtown newyorkese. Stefano Leonardi, flauti; Stefano Pastor, violino; Fridolin Blumer, contrabbasso ed Heinz Geisser, batteria in questa loro recente produzione, per la prestigiosa Leo Records, non si ripromettono di celebrarne le gesta innovative che la sua filosofia jazz ha evidenziato ma scelgono di tracciare una conversazione musicale, da qui il titolo del cd, riferendosi alle metodologie che il musicista americano seppe concepire nella sua pur breve ma intensa attività di musicista. Singolare può essere poi definita la configurazione del quartetto che accosta i flauti di Leonardi al violino di Pastor in un gioco d'interazione intenso e sfaccettato supportato magnificamente dalla sezione ritmica del duo Blumer-Geisser. Sette gli episodi che coniano la selezione musicale dell'intero cd, di cui sei composizioni originali firmate in toto dal quartetto ai quali si aggiunge la ripresa di “Anima” pescata invece nel repertorio di Chapin. L’ambient ricorrente è permeato da un alone cameristico fortemente irrorato da consistenti porzioni improvvisative che mettono in evidenza le qualità tecniche dei componenti il quartetto e la loro amabile predilezione per la libertà espressiva. La title track che apre l’album ha una struttura variegata ed alterna momenti ricchi di tensioni e frenesia ritmica a porzioni intimistiche in cui ricorre il tema primario del brano. A sorpresa poi arriva il climax inizialmente rarefatto di  “The Way Everythings Works” che passo dopo passo sfocia in un ipnotico ritmo world. La parte centrale dell’album è densa di momenti ricercati sia a livello espressivo che nell’attività di interplay che coinvolge tutto il quartetto, mentre la ripresa di “Anima” regala fulminei umori lirici presto sopraffatti da una sorta di smaniosa tensione espressiva che è nei fatti l’essenza viva e pulsante di uno dei migliori album jazz prodotti in Europa nel 2014.