giovedì 26 settembre 2013

Illusionary Sea


Mary Halvorson Septet

Firehouse 12 Records


Ingegno e creatività sembrano albergare in azione costante nell’esercizio compositivo ed esecutivo della giovane Mary Halvorson, musicista dall’aria di sprovveduta collegiale che affiancheresti istintivamente a strumenti come il pianoforte o l’arpa e che invece in pochi anni si è rivelata come un’esponente altamente innovativa dell’impiego di uno strumento come la chitarra in ambito jazzistico. Amante di contesti vari come il duo, il trio, il quintetto e da questo album in poi anche del settetto, la Harvolson ha saputo rivalutare, o per meglio dire, rivelare un ruolo inedito e affascinante per il suo strumento affiancandogli una ricca pedaliera che le consente di variarne a proprio piacimento le timbriche. Oramai conosciutissima in Italia dove arriva spesso in concerto con i suoi vari combo, la chitarrista ha rilasciato di recente, quasi in contemporanea, due album di notevole spessore: Sifter in trio con Kirk Knuffke (cornetta) e Matt Wilson (batteria) nonché  questo Illusionary Sea, come ho scritto prima, in settetto. E’ la prima esperienza della musicista in questa configurazione  ma anche questa volta, come le precedenti, ciò che ci ritroviamo ad ascoltare è un’opera straordinariamente pregevole,  certamente di spessore più sopraffino del già citato Sifter. Per il settetto formato da Jonathan Finlayson (tromba); Jacob Garchik (trombone); Jon Irabagon (sax alto); Ingrid Laubrock (sax tenore); John Hébert (contrabbasso); Ches Smith (batteria) e dalla stessa  Halvorson (chitarra) quest’ultima  ha confezionato sette composizioni dai temi raffinati e dalle strutture narranti che inglobano felicemente scrittura e improvvisazione. I fiati hanno un ruolo primario condiviso con la chitarra della leader, sempre sfaccettata e appassionante, mentre la ritmica dosa con perspicacia il suo apporto forte della lucida professionalità di Hebert e della fresca e incontaminata classe di Smith. Il layout espressivo del gruppo è certamente unico e originale e si identifica nell’inedito accostamento tra le coordinate da jazz moderno, intrise di intenso interplay e le incursioni della chitarra della Halvorson, protagonista di serrati dialoghi con i fiati ma anche di invidiabili innesti rockeggianti sempre con quell’esclusiva nonchalance che la contraddistingue.

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