venerdì 19 marzo 2021

The Weight Of Light

Benoît Delbecq

Pyroclastic

di  Giuseppe Mavilla

Il pianista francese Benoît Delbecq è da sempre fra i musicisti più innovativi che operano in un ambito che travalica il jazz e si incunea su orizzonti sonori più pertinenti l'espressività della musica contemporanea. Questo suo ultimo lavoro, non a caso inciso per l'etichetta Pyroclastic Records, creata dalla pianista Kris Davis e dedita alla pubblicazioni di album che esulano da ambiti tradizionali, ci presenta Delbecq in totale solitudine ed alla prese con un pianoforte preparato. Nove flussi sonori, tutti nati dalla sua esclusiva vena compositiva, molti dei quali ispirati a tematiche che riguardano le dinamiche correlate di ombre e luci.

Il musicista francese sembra affascinato da sempre dal gioco delle ombre prodotte dai mobili di una stanza grazie alla luce, alla quale più che una massa Delbecq si prende la licenza di attribuire un peso. Da qui il titolo dell'album, un album in cui risulta predominante, in ben sette dei nove brani presenti, il contrasto tra i fraseggi che Delbecq esegue prevalentemente con la mano destra e la ritmica, quasi sempre ostinata su poche note, affidate alla sua mano sinistra e riservate alla parte preparata del suo pianoforte, ovvero, a quella parte dove tra le corde sono stati inseriti piccoli frammenti legnosi o quant'altro risultava utile a rendere le corde sorde e ridotte, nel loro vibrare, tali da simulare la timbrica di uno strumento a percussione. 

E' “The Loop of Chicago” ad introdurci all'ascolto dell'album, con il suo ostinato ritmico e i fraseggi sparsi che accennano melodie o si perdono in un incedere improvvisato. A seguire “Dripping Stones” primo brano esclusivamente di solo piano puro, rarefatto e incantevole, dove comunque in qualche modo c'è un'azione di trattamento della gamma alta che risulta stridula e pungente quando sale sulle tonalità più estreme. Poi arriva “Family Trees” con la sua cadenza ritmica ipnotica e spesso cangiante a contorno dei fraseggi minimalisti che accennano brevi frasi liriche. 

E ancora “Au Fil de la Parole” come una giostra di legno o una scatola magica aperta all'improvviso che dispiega un' estraniante melodia mentre “Anamorphoses” si apprezza per la sua fluidità sia ritmica che in termini di fraseggi in qualche caso impinguati di blues. Un intro di piano preparato ci introduce “Havn en Havre” una sorta di ballad dal tema ammaliante poi è la traccia finale “Broken World” l'altro brano di solo piano, già inciso precedentemente, che, con  il suo tema struggente e i fraseggi incantevoli,  chiude questa preziosa e sobria opera di Benoît Delbecq.


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