Peter Evans Quintet
More is More Records
Ancora un trombettista in evidenza: Peter Evans, con un album Ghosts di intensa musicalità e indovinata propensione a cercare spunto nel passato per abbozzare un linguaggio, senza costrizioni o limiti, libero di spaziare in un inedito presente. La sua biografia rende nota la sua frequentazione, fin dal 2003, della comunità musicale newyorkese, i suoi studi all’Oberlin Conservatory, la sua capacità di misurarsi in diversi ambiti musicali, dall’ironico progetto con i Mostly Other People Do the Killing al duo con Nate Wooley, e ancora il trio con Mary Harvolson e Weasel Walter, il cui ElectricFruit è stato qui recensito, per finire con la sua partecipazione al progetto Electro-Acoustic Ensemble di Evan Parker e questo solo per citarne alcuni. In Ghosts, prima uscita per la sua neonata etichetta, Evans è in quintetto coadiuvato da Carlos Homs al piano, Tom Blancarte al piano, Jim Black alla batteria e Sam Pluta, live processing. Il lavoro, commissionato in parte dalla SWR for the Donaueschinger Musiktage 2010 di Baden Baden (Germania), include sette tracce e si apre con “One to Ninety Two” una frenetica incursione tra gli stilemi, non proprio celati, di un post-bop di maniera che però si arricchisce di una carica esecutiva non proprio ricorrente e di intrecci elettronici e temporali che ne smontano i tratti consolidati. Qui Evans estrapola la melodia di un classico di Mel Torme e prova ad operarne, con notevoli risultati, una decostruzione. Il brano si sviluppa su diverse latitudini anche grazie all’impiego dell’elettronica che raddoppia lo strumento del leader su vari registri. La successiva “323” è giocata su due note in ritmo ostinato con variazioni di tonalità e in atmosfera decisamente free. E’ il preludio alla sofisticata e ariosa ballad che da il titolo al cd il cui tema questa volta è estrapolato da un noto brano di Victor Young “I Don’t Stand a Gost Whit You”. Il resto del cd propone le fluorescenze di “The Big Chrunch”, le sciorinate sordinate di “Chorales”, i ritmi e le interazioni d’avanguardia ispirate dal grande Woody Shaw e dalle sue composizioni in “Articulation” e la spumeggiante rielaborazione di una classica pop song la “Stardust” di Hoagy Carmichael datata 1927.