Dopo Paul
Motian ci ha lasciati anche Sam Rivers, tempi tristi per noi cultori del jazz
più creativo e libero. La notizia è arrivata ieri mentre tutti eravamo ancora
in qualche modo alle prese con i postumi della festività natalizia e a tarda
sera mi sono limitato a twittare un mesto goodbye e un sentito R.I.P. Oggi sul
mio ipod ho in play uno dei suoi capolavori: e’ Paragon album registrato al Davout Studio di Parigi il 18 aprile
del 1977, di cui esiste una sola versione in vinile della Fluid Records, ormai
fuori stampa. Rivers è stato uno dei grandi esponenti del free jazz, la sua infanzia
a Chicago, figlio di cantante e di una pianista, ne hanno plasmato la
personalità di musicista insieme agli studi in una alta scuola cattolica sempre
in quella città. Intorno ai vent’anni, era nato il 25 settembre del 1930,
approda a Boston dove successivamente diventa insegnante presso la Berklee
School. Poi il suo trasferimento a New
York, la sua tournèe con Miles Davis nel 1964 e via di seguito il sodalizio con
Cecil Taylor e l’attività con lo studio Rivbea, nel 1973, in un loft di NewYork coadiuvato
dalla moglie Beatrice. Da qui in poi sarà tutta un’ascesa nell’olimpo dei più arditi
esponenti del free e nel 1978 questo lp con Dave Holland, basso e cello, Barry
Altschul, batteria e percussioni. Lui si alterna, da vero pluristrumentista, al
sax soprano e tenore, flauto e pianoforte. La prima traccia “Ecstasy” è nervosa,
permeata da un’urgenza espressiva dirompente, il trio è impegnato in un
interplay fitto dove ogni passaggio ha una sua logica costruttiva ed evolutiva
verso un flusso libero lasciato all’inventiva del protagonista. Poi il minuscolo tema si ripropone imbevuto delle
declinazione improvvisate del leader. “Bliss”, di seguito è piatta quasi
strascicata con Rivers al flauto e Holland al cello. Cameristica e grigia
disegna una melodia indefinita, fragile e del tutto insipida, appena arricchita
dalle bolle cromatiche-percussive di Altschul. Con “Rapture” il clima torna
frenetico, Rivers sembra sfuggire ai suoi compagni fin quando arriva l’assolo,
breve ma intenso, di Alschul: fluorescenti, fluidi e contorti così si
percepiscono i tre nel finale del brano. Fin qui la side A del 33 giri mentre nella
prima delle due tracce della side B il leader è al pianoforte con l’ombra
appena percettibile di Taylor dietro. Splendido il suo confrontarsi alla
tastiera con la frenesia della coppia ritmica. L’ultima traccia, che da il
titolo all’intero lp, traccia nel contempo il tratto espressivo e la filosofia
free del sassofonista, il suo jazz è frutto di un 'attività di ricerca non è
il free votato all’oralità sfrenatamente estemporanea di altri esponenti del
genere. “Paragon” in chiusura è mutante, frastagliata, cangiante nei ritmi e
nel climax, avanguardia e libertà strutturata e grande passione. In questo brano finale lui è impegnato ai sax, al flauto e al piano incise singolarmente e poi sovrapposte in sede di missaggio. Indimenticabile e indiscutibilmente insostituibile nella storia del jazz, cosi è stato
e sarà per sempre Samuel Carthorne Rivers.
2 commenti:
Davvero una brutta notizia. Io invece per ricordarlo sto ascoltando a ripetizione The Quest e l'ottimo Trio Live della Impulse.
Mi ha incuriosito la tua descrizione di Paragon che andrò subito a cercare in rete...
Ne approfitto per augurarti un felice anno nuovo e ti linko la la lista dei miei dischi preferiti del 2011:
http://forum.ondarock.it/index.php?/topic/14806-best-2011/
Giuseppe
Ottimi album quelli che stai ascoltando. Grazie per gli auguri di Buon Anno che ricambio e per la segnalazione della lista dei tuoi preferiti per il 2011.
A presto.
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