Tom Rainey
Usiamo
comunemente l'aggettivo “obbligato” per indicare qualcosa che non possiamo
evitare, come ad esempio un percorso stradale o un compito da assolvere per
forza di cose. Ma con “obbligato” si può descrive anche uno status di
riconoscenza, verso qualcuno da cui si è ricevuta una cortesia estremamente
gradita. Mi viene da pensare, non importa quanto ciò può esser vero, che il
batterista Tom Rainey e il quintetto riunito per questo cd si siano sentiti in
qualche modo obbligati ad omaggiare la tradizione, da qui il titolo usato, loro
che oggi sono tra le punte di diamante della scena jazz internazionale. Il
tutto si concretizza con la ripresa di alcuni degli standard piú importanti
della storia della musica afroamericana ad opera di un combo che propone,
accanto al batterista, Ralph Alessi alla tromba, Ingrid Laubrock al sax, Kris
Davis al pianoforte e Dew Gress al contrabbasso. Cinque musicisti dalle
peculiarità stilistiche ben definite e decisamente orientati verso ambiti di
ricerca e innovazione del linguaggio jazz ma che in questo contesto sembrano
concedersi una gioiosa pausa di riflessione. La ripresa si orienta su brani
come “Just in Time” che in apertura delle selezioni ci introduce in flusso
sonoro fluido e dialettico o sulla soffusa “In Your Own Sweet Way” firmata da
Dave Brubeck, con i sinuosi e avvolgenti fraseggi dei due fiati e i
contrappunti al pianoforte della Davis. Il quintetto non snatura l’essenza dei
vari brani, non ne stravolge la struttura ma sceglie di reinterpretarli a proprio
modo, giocando sulle qualità e sulle attitudine dei singoli musicisti in un
gioco di reinvenzione dei brani che appaiono arricchiti da un esercizio
improvvisativo costantemente attinente la geometria originale e le peculiarità
armoniche dei brani stessi. Magistrali in tal senso le riproposizioni della
monkiana “Reflections” o di “Prelude To A Kiss” di Ellington, introdotta da un
solo di drumming, velato di umori tribali, ad opera di Rainey che accanto al
raffinato Gress, al contrabbasso, da vita ad un’asse ritmico di rara
pregevolezza. Suadenti nel loro
intreccio di dialoghi, in entrambi i brani, i due fiati e i fraseggi al
pianoforte della Davis. Poi la virata free-bop nella ripresa
della “Yesterdays” di Kern ma il tutto appare ancora straordinariamente
misurato e godibilissimo come solo i grandi musicisti sanno fare.
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