Matthew Shipp
Rogue Art
di Giuseppe Mavilla
Ogni volta che mi sono trovato a scrivere una recensione di un album del pianista Matthew Shipp, riportando le relative impressioni di ascolto, ho sempre definito il suo pianoforte immenso. Questo perché il pianismo di Shipp sorprende per la ricchezza degli elementi contenuti nella sua espressività, per l’energia che sprigiona ma anche per i contrasti dinamici, quest’ultima una delle caratteristiche che più lo contraddistinguono.
Sono lontani i tempi di Prism, primo album di Shipp, da me comprato e ascoltato e secondo suo album registrato dal vivo nel Marzo del 1993 alla Roulette di New York City, in trio con William Parker al contrabbasso e Whit Dickey alla batteria, pubblicato poi dalla piccola etichetta olandese Brinkman. Io comprai quell’album nel 2000 quando venne ristampato in solo 3000 copie dalla Hatology. In tutto questo lasso di tempo il pianista ha affinato la sua arte e ha scelto quali versanti espressivi prediligere. Tra questi è ormai chiaro c’è il piano solo versante che già aveva dimostrato di voler approfondire con due dei suoi primi lavori Symbol Systems del 1995 e Before The World del 1997.
Ora arriva The Data, questo il titolo dell’album, ovvero un lavoro esclusivo già dal suo concepimento perché registrato al Merkin Concert Hall di New York il 9 giugno 2021 dall’ingegnere Randy Thaler, con Shipp che utilizza uno Steinway Grand Piano. Mai titolo è sembrato più azzeccato per un album che nei fatti genera dati musicali, nel senso che Shipp, come ho già detto in altre occasioni, compone improvvisando e nelle sette tracce del cd 1 nonché nelle 10 del cd 2, tutte originali e tutte intitolate come l’album ma con a fianco il numero della traccia, si ascoltano composizioni generate dall’esercizio improvvisativo di questo straordinario musicista che combina insieme vari ambiti che vanno dal jazz alla classica contemporanea.
Si inizia con il tratto lirico e gli improvvisi sussulti di “The Data 1” si prosegue con l’iniziale passo nervoso di “The Data 2” che, fra parentesi riflessive e riprese dalla dialettica incisiva, si chiude con fraseggi vicini al mondo musicale classico. “The Data 3” coniuga delicate melodie e inaspettate irruenze mentre “The Data 5” ci offre uno stupendo piano jazz che in “The Data 8” dispiega il suo versante tradizionale. “The Data 10” è una ballad intima contraddistinta da un raffinato pianismo e a seguire “The Data 11” alterna ambiti dirompenti a momenti lirici che lasciano spazio alla grande energia e all’estro di “The Data 14” che sprigiona umori monkiani.
Mentre la selezione si avvia al termine sono consapevolmente convinto di aver ascoltato un album di grande levatura, già pronto per essere collocato nelle liste dei migliori album di questo 2024. The Data rimane nella lista dei miei ascolti giornalieri perché sono certo che c’è ancora qualcosa di rara bellezza sonora da scoprire nelle sue diciassette tracce.
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