Raffinerie Musicali
La vocalità jazz al femminile ha dei trascorsi
importanti nella storia di questo genere musicale, interpreti che non hanno
bisogno di essere menzionati tanto sono note le loro gesta artistiche. Trascorsi
che comunque non hanno fortunatamente dissuaso, nuove giovani interpreti anche
italiane, a cimentarsi, di tanto in tanto, in progetti di vario tipo. Ed è
recentissima, ad esempio, questa interessante proposta di una vocalist
italiana, Giorgia Barosso, emiliana d’origine ma piemontese d’adozione. Nata a
Parma vive da anni in provincia di Alessandria, e questo suo album, di indubbio
valore artistico, la vede alle prese con noti standard e con brani originali composti
insieme al pianista Mario Zara. Un’interprete, la Barosso, dalla biografia
ricca di esperienze musicali e di studi approfonditi come quelli di pianoforte al
Conservatorio “A.Vivaldi” di Alessandria e di canto e improvvisazione jazz con
insegnante Tiziana Ghiglioni. Nel 1989 debutta come vocalist con una band di
soul-funky ma l’anno successivo è rapita dal jazz. D’allora ad oggi sarà tutto
un susseguirsi di incisioni ed esibizioni in concerto con l’aggiunta, dallo
scorso anno, di un impegno radiofonico con l’emittente web Vertigo One. Stories Yet To Tell, uscito lo scorso sei novembre, è realizzato con il
già citato Mario Zara, pianoforte e piano Rhodes, Marco Antonio Ricci,
contrabbasso e Michele Salgarello, batteria. Nove i brani in esso contenuti in
quattro dei quali si aggiungono il trombettista Fabrizio Bosso e il chitarrista
Riccardo Bianchi. La traccia iniziale è la celebre “Love For Sale” di Cole
Porter, interpretata dalla Barosso con un’intensità prettamente soul-jazz e
piacevolmente colorata dal solo di Bosso. Segue il brano che da il titolo all’album,
una delle quattro composizioni originali presenti, una ballad dai toni
raffinati e pertinenti alla struttura standard della song stessa, che mette in
evidenza le pregevoli qualità vocali della protagonista. Poi l’ascolto si snoda
attraverso la piacevole fluidità della notissima “Time After Time” in cui Zara
recupera le sonorità del mai dimenticato piano Rhodes; le inedite fantasticherie chitarristiche
di Bianchi in “Come Rain or Come Shine”; l’interpretazione magistrale della Barosso
della celebre “Oh Lady Be Good” firmata da Gershwin e la variegata struttura di
“I”. L’album nella sua interezza è caratterizzato da un’accurata stesura degli
arrangiamenti, e qui il lavoro di Mario Zara si evidenzia in particolar modo
nella capacità di equilibrare le varie sfaccettature vocali e strumentali con l’evidente
attenzione a non strafare. Altra citazione anche per il binomio ritmico
Ricci-Salgarello attento, puntuale e fondamentale in ogni ambito. La Barosso
dal canto suo mostra di prediligere una certa classicità del canto jazz mista
alla voglia di innescare, in essa, sottili umori moderni che non stravolgono l’essenza
dei brani ma ne rinnovano la fruibilità. Si delinea in tal modo il profilo di
un’interprete destinata a distinguersi nel suo ambito per un’identità propria e
ben definita della sua vocalità.
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