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Sembrerà strano che un musicista come Ellery
Eskelin, sassofonista da sempre proteso verso un linguaggio free e
d’avanguardia, decida di ripescare alcune perle del songbook americano per
riproporle in un album Trio New York II
che fa seguito a un precedente primo episodio con identico titolo. In entrambi
l’esperienza è condivisa con Gay Versace, all’organo Hammond B3 e con il
batterista Gerald Cleaver, ma come erroneamente si potrebbe supporre il
sassofonista non abbandona del tutto la sua nota propensione, bensì prova a rimodularla
in quello che è un ricercato approccio e non una semplice e ruffiana ripresa di
noti standard. E peraltro bisogna anche dire che il nostro non è nuovo a questo
di esperienza perché è bene ricordare che è del 1996 un suo album per la Soul
Note, The Sun Died, dedicato al sassofonista Gene Ammons. Nel 1999 invece
arriva un album per Hatology, Five Other
Pieces (+2) in cui vengono riproposti brani, tra gli altri, di
Coltrane, Tristano e Gershwin. Tornando all’oggetto di questa recensione c’è da
precisare che l’organo Hammond e nella
fattispecie, il B3, entra nell’orbita di Eskelin con Gay Versace, musicista più
volte a fianco di Maria Schneider, compositrice e direttrice di orchestra multi
premiata, ma anche, tra gli altri, del batterista-percussionista John Hollenbeck
del quale è stato qui
recensito l’ottimo Eternal Interlude
con il già citato Versace alle tastiere. A proposito di quest’ultimo non si può
sottacere relativamente al grande bagaglio d’esperienza che si porta dietro insieme alle riconosciute
qualità tecniche. Il trio si completa poi, come già scritto prima, con Cleaver
alla batteria, vero asso nella manica, non solo per questa formazione ma per
chiunque se lo ritrovi al fianco sulla ribalta o in studio. Le sue sensibilità
artistiche sono immense accanto alle sue fantasie esecutive e alla incommensurabile
capacità di saper captare e condividere al meglio il linguaggio altrui. E’
quindi una formazione quasi ideale quella del Trio New York che regala momenti
intensi di piacere d’ascolto e spunti di
jazz d’alto livello attraverso le sei composizioni di questo cd. L’iniziale “The
Midnight Sun” firmata da Lionel Hampton e Sonny Burke introduce all’ascolto al
meglio, anche perché risulterà, poi, tra gli episodi più significativi dell’intero
album. Eskelin e Versace esordiscono con un dialogo sinuoso e interattivo che
si trascina piacevolmente per qualche minuto e che non cita per nulla il tema
del brano che a sua volta compare solo dopo, quando viene esplicato con grande
partecipazione e pervaso da umori struggenti che emozionano. Il trittico
iniziale comprende poi una intrigante versione di “Just One Of Those Things” di
Cole Porter, poco più di dodici minuti di fluido conversare dei tre musicisti,
introdotto dall’esclusivo dialogo tra sax e batteria a cui si affianca successivamente
l’organo Hammond deputato a sostituire l’assente contrabbasso. Poi è la volta
dei soli: prima Eskelin, a ruota Versace e di seguito Cleaver. Momenti di
piacevole ascolto si susseguono anche con la splendida versione della
boppistica “We See” di Monk che insieme alle altre tre "My Ideal" "After You've Gone" e "Flamingo" danno
l’esatta dimensione di quanto, questa intuizione di Ellery e soci, sia stata azzeccata.
Non una scontata reinterpretazione ma molto di più: ovvero un rivivere con
stimoli nuovi e un interplay ricercato e intriso di modernità, pagine
immortali di americana memoria.
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