Intakt
Un incontro
propizio nato attraverso una frequentazione durata una settimana al Birdland di
New York, durante l’estate del 2012, che ha preceduto le sessioni d’incisione
in studio che hanno dato poi vita a questo cd. E’ una ricorrente pratica,
quella messa in atto dal Trio 3 formato da Oliver Lake ai sax, Reggie Workman
al contrabbasso, Andrew Cyrille alla batteria che ama integrare il proprio
combo, di volta in volta, con un pianista diverso come è accaduto già in
passato. Tre musicisti di alta levatura, con solide esperienze nell’ambito di
ensemble come il World Saxophone Quartet, di cui ha fatto parte Lake, mentre
Workman ha suonato a fianco di Coltrane e Cyrille è stato per vari anni il
batterista di Cecil Taylor. I tre incontrano in questa occasione Jason Moran,
uno dei pianisti più qualificati fra le giovani leve, ormai asceso nell’olimpo
dei grandi nomi del jazz contemporaneo, anche lui con un passato ( di studi)
alla corte di Jaky Byard, Andrew Hill e Muhal Richard Abrams. Quindi le
premesse per un incontro stellare, così come l’ho definito in un mio recente
tweet, c’erano tutte e tali si confermano all’ascolto, grazie alle prerogative
già conosciute del trio e alla duttilità ritmica e armonica di Moran. Dieci
brani, in tutto, che vengono dalla fertile vena compositiva di ognuno dei
quattro protagonisti, per un mix di umori vari sui quali influiscono in modo
determinante le già note dinamiche free del trio, spesso stemperate da
un’essenza ritmica prettamente soul come accade in “Cicle III” seconda traccia,
preceduta dal funk-rap dal quale prende il titolo l’album. I primi vagiti free
si delineano in “Luthers Lament” e trovano piena espressività in “Summit
Conference” impreziosito dai soli di Lake e Moran e dall’intervento
all’archetto di Workman. Ad impressionarmi, per intensità e introspezione,
è poi “Foot Under Foot” caratterizzata da sfaccettare free, mitigate da
fraseggi armonici di sax e pianoforte. Firmata da Moran, con un intro
indefinito, il brano prende vita in crescendo grazie ad ampi spazi riservati
all’improvvisazione e ad una esplosione ritmica finale. Un album che esibisce
un interplay vibrante e partecipato da tutti i suoi protagonisti e che sa
mitigare furori free e armonie ricercate.
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