mercoledì 16 maggio 2012

History of Jazz in Reverse

Fab Trio

Tum Records

 
 
Risalgono al 13 dicembre del 2005 le registrazioni degli otto brani contenuti in questo cd del Fab Trio composto da Billy Bang al violino, Joe Fonda al contrabbasso e Barry Altschul alla batteria. A distanza di sei anni queste incisioni sono diventate una produzione discografica ad opera della finlandese Tum che ne ha curato la pubblicazione sul finire dello scorso anno a circa sei mesi dalla morte dello stesso Bang. Una pubblicazione curata anche nella confezione con accluso un libretto che reca il ricordo degli amici Fonda e Altchul, le note di Bill Shoemaker e varie foto. Testimonianze di affetto e stima per il violonista sopravissuto alla guerra in Vietnam e alle inevitabili conseguenze psicologiche di una tale esperienza. Ma il soldato di fanteria, William Walker, questo il suo vero nome, non è riuscito ha combattere contro il male spietato che lo ha colpito negli anni seguenti a quella triste esperienza. Questo cd ci consente di riascoltarlo all’interno di un trio che celebra l’improvvisazione nella sua sfaccettatura più passionale e libera da ogni schema. I tre musicisti dialogono in perfetta sinergia regalando trame sonore in cui l’essenza interattiva viene sublimata dalle grandi capacità strumentali e interpretative che Bang, Fonda e Altchul sfoderano con grande partecipazione e rare doti stilistiche. Dall’articolato e dilungato “Homeward Bound” che apre le selezioni fino alla conclusiva “From The Waters of New Orleans” è un susseguirsi ininterrotto di episodi straordinaramente coinvolgenti densi di ritmo ma anche di liricità come l’omaggio in “Bea” alla signora Beatrice Rivers, moglie del sassofonista Sam Rivers a ricordo delle frequentazioni degli anni d’oro del free: poco più di cinque minuti di tenera introspenzione espressa con raffinata delicatezza da Bang al violino. E ancora l’inusuale ripresa della notissima “Chan Chan” del mai dimenticato Company Segundo e la composizione a sola firma di Bang “One for Don Cherry” dedicata ad al grande trobettista. Questi brani inframezzati alle composizioni estemporanee create da i tre cesellano I tratti una produzione altamente consigliata.


mercoledì 2 maggio 2012

Frog Leg Logic


Marty Ehrlich’s Rites Quartet

 Clean Feed Records


Il sassofonista Marty Ehrlich e il quartetto Rites, con James Zollar alla tromba, Hank Roberts al violoncello e Michael Sarin alla batteria. Una formazione identica per struttura a quella che il sassofonista Julius Hemphill impiegò per il suo Dogon A.D. vera pietra miliare della discografia jazz di tutti I tempi di recente ristampata e qui già recensita. Quella di Ehrlich è una produzione che brilla di luce propria e si scopre densa di essenze sonore on the road. Una produzione vissuta con pathos dall’intero quartetto per nulla in debito con il glorioso riferimento. Sette composizioni originali firmate dal sassofonista americano vero fulcro creativo del quartetto. Si inizia con il riff funky del brano che da il titolo al cd ben presto inglobato nelle geometrie free bop che il quartetto traccia con intenso vigore. Poi una struggente melodia introduce “Ballad” un blues viscerale e variegato nei ritmi. Si va avanti con le libere e cameristiche interazioni di “Walk Along The Way” e gli umori andini di “Solance” episodio di grande suggestione e di apertura verso orizzonti prettamente world con Ehlrich al flauto a dispensare fraseggi di rara raffinatezza e introspenzione in alternanza con la tromba di Zollar. La sezione ritmica con Roberts e Sarin completa il riuscito e variegato mosaico con il primo a raffozzare, quando impugna l’archetto, la sfaccettatura lirica e cameristica del combo e con il secondo ad imprimere un groove impetuoso agli episodi ritmicamente più incalzanti come la conclusiva “The Gravedigger’s Respite”.



venerdì 13 aprile 2012

Traditions and Clusters


Franco D’Andrea

El Gallo Rojo Records


Doppio cd dal vivo per il pianista Franco D’Andrea per documentare un intenso tour che lo scorso anno, quello del suo settantesimo compleanno, lo ha visto proporre il progetto in trio con Daniele D’Agaro, clarinetto e Mauro Ottolini, trombone e quello in quartetto con i fedelissimi Andrea Ayassot, sax, Aldo Mella, contrabbasso e Zeno De Rossi, batteria. Il trio, arricchito nei concerti dalla presenza del fantasioso batterista Han Bennink, per riproporre la tradizione attraverso un linguaggio attuale e senza rinunciare alle sonorità e alle dinamiche swing; il quartetto per proseguire il lavoro di sintesi di un linguaggio che ingloba modernità e avanguardia non tralasciando il passato. Il tutto si traduce in un equilibrio estetico che aiuta non poco a metabolizzare le intuizioni e l’acume jazz del musicista di Merano. Il titolo del lavoro suggerisce la probabile ricchezza del contenuto che si fa certezza già dalla prima traccia del cd n.1, una suite che include una esclusiva versione della “Turkish Mambo” di Lennie Tristano.  Poi l’oralità di “Cluster n.1-2-3” i primi con protagonista il quartetto e il terzo, un solo del leader. Il secondo cd cattura i due ensemble riuniti e la sintesi sonora è da apoteosi tra riproposizioni di composizioni del D’Andrea più recente come “Half The Fun” e le ulteriori riprese del brano di Tristano e della “Caravan” di Ellington.  




domenica 8 aprile 2012

Avenging Angel


Craig Taborn

Ecm Records


Per il pianista Craig Taborn, altra figura rilevante della scena jazz newyorkese, arriva l’appuntamento con una tappa quasi obbligata: il piano solo, e per di più con l’etichetta Ecm di di Manfred Eicher. Una registrazione tutta europea realizzata presso l’auditorio della radiotelevisione svizzera di Lugano con l’ingegnerizzazione del nostro Stefano Amerio. Taborn, da sempre abituato a cavalcare con evidente propensione i fermenti innovativi della scuola di Chicago, si vedano a tal proposito i suoi contributi alle produzioni di Roscoe Mitchell, nonchè gli umori avant della downtown, si mostra pronto a proporsi in totale solitudine. Le tredici tracce contenute nel cd spaziano tra i diversi orizzonti che costituiscono l’universo del piano solo. Il pianista infatti affronta con evidente scioltezza e capacità ambiti vari senza cedimenti di sorta riuscendo ad accostare l’oralità jazz ad una scrittura di stampo europeo.  E ancora: citazioni d’avanguardia e aree  di ampio respiro in cui spiccano frammenti di melodie che ricordano in qualche episodio  la sfera più intima del  Michael Nyman di alcuni anni fa e per finire anche episodi minimalisti alla Philip Glass. Un percorso variegato  di ricorrente intercambiabilità da metabolizzare ascolto dopo ascolto.


lunedì 2 aprile 2012

Double Demon


Starlicker

Delmark records


Questa degli Starlicker è una altra geniale intuizione di uno dei musicisti più prolifici di questi ultimi anni. Il trombettista Rob Mazurek ne ha infatti inventata un’altra delle sue: un trio tromba, vibrafono e batteria, quest’ultimi affidati rispettivamente alle gesta dell’onnipresente, quando si parla di vibrafono, Jason Adasiewicz e a quelle di John Herndon gia membri di altri ensemble insieme con Mazurek. Qui i temi sembreranno banali, quasi degli jingles dalla melodia semplice, a volte scontata, contrappuntati da una ritmica ossessionante che unisce vibrafono e batteria. E da qui si dipartono le parti improvvisate affidate a turno alla tromba e al vibrafono o all’intreccio degli stessi con l’incalzante drumming di Herndon che ben supporta i trasbordi all’unisono della tromba del leader. Suggestiva come sempre la timbrica del vibrafono che qui assume una connotazione intrisa di nudità sonora per la mancanza di un contrabbasso a supporto. Ascoltate la seconda traccia del cd “Vodou Cinque” dagli orizzonti indefiniti e dall’atmosfera a metà fra l’ipnotico e il trascendente o “Andromeda”, frenetica, urbana, ossessiva e infinita. E ancora la magmatica “Triple Hex” tra le cui fumogene elucubrazioni prende vita l’ennesimo riff della tromba di Mazurek. Vola in alto il trombettista a disegnare percorsi di libero girovagare nel pentagramma prima di ricomporsi nella consueta semplicità del riff iniziale. Sei tracce in tutto per poco meno di quaranta minuti intensi e col fiato alla gola.


 

domenica 1 aprile 2012

Accelerando


Vijay Iyer Trio

Act Records


Il pianista indiano Vijay Iyer è da sempre uno dei musicisti più innovativi della scena jazz di Brooklyn. A lui si guarda come una fonte di energia vitale per lo sviluppo del jazz contemporaneo. Questa sua recente produzione per l’etichetta tedesca Act prosegue il lavoro intrapreso con l’ottimo Historicity del 2009 e fa seguito al validissimo Solo del 2010. L’elemento primario su cui Iyer concentra la sua ispirazione è il ritmo inteso come movimento, frenesia, danza, aspetti insostituibili nella vita di tutti i giorni. Non a caso nelle note di copertina il pianista così definisce il cd: "Questo album è il lignaggio della musica americana creativa basata su ritmi di danza." A coadiuvarlo in questa interpretazione moderna del classico piano trio troviamo Stephan Crump al contrabbasso e Marcus Gilmore alla batteria due musicisti che interpretano in maniera perfetta la filosofia di Iyer che mette insieme undici tracce tra originali e riproposizioni dimenandosi tra un’ossessione ritmica costantemente in crescendo e un esercizio armonico di raffinato impatto. Il trio esordisce con la snella “Bode” una sorta di genesi ritmica che preclude alle seguenti “Optimism” e “The Star Of a Story” in cui il ritmo prende forma quasi ipnotica in un continuo crescendo  spezzato solo da cellule di armonie a cui da alito oltre al pianoforte del leader il contrabbasso di Crump. Con la quarta traccia il pianista estrae dal suo magico cilindro una magistrale riproposizione di un hit del compianto Michael Jackson.  E’ “Human Nature” una autentica perla la cui armonia lirica e ritmica viene prima cesellata con minuziosa cura e successivamente decostruita e ricostruita tra mille micro variazioni. Poi Iyer pesca nel repertorio del grande e artisticamente introverso Henry Threadgill reinterpretando “Little Pocket Size“ restituita, pur nella esiguità strumentale di un trio, in tutta la sua complessità e caratterizzata da sonorità più nette e ricercate e una ritmica sempre e comunque in crescendo. Sono tre composizioni inedite del leader consumate in un ambient pulsante e fluorescente a precedere  l’ultima traccia la magistrale “The Village of Virgins” di Duke Ellington che mi catapulta dentro un ritmo gospel...... inebrio e goduria a chiusura di una produzione di disarmante bellezza.



mercoledì 28 marzo 2012

Screenplay


Cirinnà quartet
feat. Dino Rubino

Anaglyphos Records


Il mio primo contatto con il progetto Screenplay del sassofonista Rino Cirinnà è datato 23 febbraio 2012, data in cui il musicista ha presentato questo suo ultimo cd nell’ambito della rassegna in corso al MIllennium Club di Scicli.  Con lui c’erano Danilo Rubino al pianoforte, Tony Arco alla batteria e Lucio Terzano al contrabbasso, lo stesso quartetto che ha inciso questo cd.  Un quartetto stellare, in totale simbiosi, che condensa nel suo linguaggio tradizione e modernità per dare vita ad un’espressività jazz intrisa di raffinate geometrie interattive, di un cadenzato alternarsi di temi ed improvvisazione, di fraseggi a volte volutamente scomposti per inglobare i rivoli estrosi di un batterista dirompente come Tony Arco. Dirompenza attinente e variopinta oltre che spettacolare che mostra un musicista totalmente rapito dalle dinamiche esecutive. Un quartetto guidato con raffinato raziocino da un sassofonista sorprendentemente misurato e composto nel suo eloquio fiatistico ma certamente esaustivo del  bagaglio tecnico-jazzistico che evidenzia i suoi trascorsi oltreoceano e la sua profonda conoscenza della musica afroamericana. Il combo, come nella formazione live, include Lucio Terzano, al contrabbasso, stilisticamente ineccepibile e di grande sensibilità musicale, con un carnet di collaborazioni assolutamente prestigioso e  Dino Rubino, al pianoforte, oramai assorto al ruolo di musicista maturo e determinante in ogni ambito in cui viene coinvolto. Sette le tracce incluse nel cd, che confermano quanto di valido avevo già notato nell’esperienza dal vivo, tutte dalla struttura articolata in bilico fra hard bop, mainstream e modern jazz, tutte di elevata fattura,   con punte eccelse in “Big on Trio”  ricca di umori cangianti, in “Modaldino” impreziosita dall’intrigante riff che alimenta il dialogo tra pianoforte e sax  e in “Behind” tra echi di Evans e sfaccettature liriche.

venerdì 23 marzo 2012

Gente a Sud


Amanita

Zone di Musica



In botanica il termine amanita è riferito ad un genere di funghi dalla struttura eterogenea, potete approfondirne la tematica su questo link, ma da qualche mese Amanita è anche il nome di un  gruppo italiano, un trio del sud italia che non a caso ha  intitolato questo primo cd con l’identificativo Gente a Sud. I protagonisti sono Raoul Gagliardi, chitarra elettrica, Carlo Cimino, contrabbasso e Maurizio Mirabelli, batteria. Una combinazione dalla struttura standardizzata ma dalle sonorità accattivanti, certamente ben definite, che dispiegano colori solari e armonie facilmente assimilabili. Nove tracce confezionate con gusto ed equilibrio nel tentativo di esprimere una sfaccettatura jazz che in qualche modo si delinea nell’interplay che i tre riescono ad instaurare e negli intervalli lasciati all’estro dei singoli che risultano abilmente collocati nell’ambito delle strutture dei brani. Melodie circolari, ostinati dai ritmi danzabili, affidati all’espressività della chitarra elettrica di Gagliardi e contrappuntati dal costante e redditizio lavoro del contrabbassista Cimino. Lo strumento acustico acquista una identità esclusiva accostato alla sei corde elettrica e la formula risulta felice e azzeccata per l’intero trio che ha nel percussionismo puntuale di Mirabelli l’ottimale completamento del mosaico strumentale. Altro dato che caratterizza la cifra stilistica degli Amanita è il richiamo, o per meglio dire, la ripresa e quindi la riproposizione, di ritmi della cultura popolare del sud italia. Il trio riesce a fondere insieme moderne geometrie jazzistiche con ritmi etnici e l’ascolto dei brani risulta gradevole e fruibile senza troppo impegno. Ciò accade per tutte le nove tracce tra le quali mi piace segnalare la danzante “Brugal”, la suggestiva “Arance Rosse”, la pulsante “Gente a Sud” da cui prende il nome l’intero cd e l’originale versione di “Centro di Gravità Permanente” pescata nel soogbook di Franco Battiato e riproposta con gusto e attinenza all’intera produzione.


 

mercoledì 21 marzo 2012

Novela


Tony Malaby
Arrangements by Kris Davis

Clean Feed


Il sassofonista Tony Malaby si concede una pausa compositiva e ripone attenzione ad alcuni brani del sue passate produzioni. Di queste ne sceglie sei affidandone la riscrittura degli arrangiamenti alla pianista Kris Davis. Nasce così questo Novela che il musicista originario dell’Arizona, oggi newyorkese d’adozione,  interpreta al soprano e al tenore con la stessa Davis al pianoforte, John Hollenback alla batteria e con una corposa sezione di fiati che vede affiancati: Michael Attias, sax alto; Andrew Hadro, sax baritono; Joachim Badenhorst, clarinetto basso; Ralph Alessi, tromba; Ben Gerstein, trombone. Sei riproposizioni che ridanno linfa nuova a brani già di per se di alta fattura. Ma quello che più colpisce in queste reinterpretazioni sono la varietà delle trame musicali, i continui mutamenti d’atmosfera e le strutture articolate dei brani che alternano momenti lirici caratterizzati  da interventi corali dei fiati, tensioni d’avanguardia, geometrie da big band e suggestivi ambient bandistici in varie occasioni sfaccettate da umori circensi. In tutto questo risalta in modo preponderante il lavoro svolto dai fiati il cui front-line è l’elemento caratterizzante l’intera produzione, opposto ai contrappunti vigorosi espressi dagli interventi al pianoforte della Davis che a giudicare dal risultato finale ha saputo assolvere in modo ottimale all’incarico affidatogli da Malaby. Questi, dal canto suo, da, ancora una volta, ampia dimostrazione della sua identità jazz nonché della variopinta gamma tonale del suo layout fiatistico: viscerale, intenso, dirompente e dialettico, qui  come non mai impegnato com’è a confrontarsi con un nutrito quintetto di fiati. Arduo descrivere a parole l’ampio mosaico architettato dalla Davis per questa rilettura dando atto anche del prezioso contributo ritmico e fantasioso che Hollenback si inventa in una circostanza che lo vede orfano di un contrabbassista. Un’opera assolutamente da ascoltare per l’immensa essenza jazz di cui è intrisa.


martedì 6 marzo 2012

Long Pair Bond


Sunna Gunnlaugs

Sunny Sky Records


Arriva dall’Islanda la pianista Sunna Gunnlaugs in trio con Þorgrímur Jónsson al contrabbasso e Scott McLemore alla batteria per una produzione in cui sembra voler ricapitolare quanto metabolizzato musicalmente in questi ultimi anni. Dalle esperienze in America nell’area newyorkese a un certo modo di concepire il jazz in Europa con riferimento privilegiato per il sound Ecm non dimenticando gli elementi propri della cultura musicale popolare della sua Islanda. Quello che ne viene fuori è una selezione di dieci brani dalle strutture preordinate e dalle sonorità raffinate contraddistinte da ritmiche mai incalzanti, tipicamente da ballad. Si apprezza il pianismo della Gunnlags dall’espressività pronunciata e dalle geometrie cangianti sempre dialogante con gli altri due componenti il trio in un interplay fitto e in perenne relazione con una sezione ritmica che sa costruire sequenze temporali intrise di una densa musicalità. Jónsson al contrabbasso si mostra in grado di tracciare fraseggi armonici piacevolmente articolati mentre McLemore sa ispessire con gusto e notevole sensibilità i passaggi più intensi dell’intera selezione.  Tutto scorre con fluidità alternando giochi di contrappunti e melodie dai risvolti struggenti in un ambient che a volte evidenzia una sfaccettatura tipicamente jazzistica altre volte delinea i contorni di partiture che potrebbero essere state composte a sostegno di ipotetiche sequenze filmiche. Numerosi gli episodi che meritano una citazione e che elevano il livello qualitativo dell’intera produzione a partire dalla iniziale title track, dal fraseggio elegante e cantabile, passando per la jazzistica “Crab Canon” e per la struggente "Fyrir Brynhildi" intrisa di umori folk e non dimenticando le sottili sfaccettature liriche delle successive “Safe from The World” e “Not What But How. Da gustare un po’ alla volta, ascolto dopo ascolto.



venerdì 24 febbraio 2012

Saturnismo


Carlo Costa – Minerva

Between The Lines Records


 Appare intrisa di un’espressività indefinibile la musica di questo cd firmato dal batterista romano Carlo Costa, oramai da anni cittadino di Brooklyn, in New York. A rivelarlo sono già le prime note di Saturnismo produzione discografica realizzata con il trio Minerva che include il pianista JP Schlegelmilch e il contrabbassista Pascal Niggenkemper. Già dalla prima traccia, che prende il nome dal titolo dell’intero cd, si avverte l’intento del combo di non dileguarsi per vie usuali e così   il percorso si fa frastagliato tra cambi di tempo e climi, con accenni a possibili esercizi armonici o a improvvisi contorsioni dinamiche. Costa esprime un drumming elegante e fluido contrappuntando i fraseggi di Schlegelmilch al pianoforte e i sollazzi inventivi di Niggenkemper al contrabbasso. “Dream Machine” numerata come quarta traccia della selezione è ritmicamente meccanica, oscillante tra minimalismi e ostinati, il pianoforte traccia colori acquatici sul tappeto setoso liberato dall’archetto del contrabbasso; “Let’s  Go I Don’t Know” ci regala umori free bop mentre “Plateau” sembra tracciare un percorso luminoso in un pentagramma grigio. Poi arriva “Nocturnal Patterns” persa in un oscuro universo denso di frammenti sonori che si intersecano senza mai sovrapporsi, intervallate da pause silenziose o appena sussurrate. Si ricompone il tutto  negli ultimi tre episodi di cui segnalo in particolare “Moth” dalle dinamiche essenziali e dal lessico sofisticato pur aderente a un ambito caratterizzato da un’essenza di sobrietà che non viene mai meno e che sembra pervadere l’intero cd. Tre musicisti il cui linguaggio è certamente influenzato dai luoghi in cui essi operano tra mille stimoli e fermenti innovativi che in questa esperienza discografica sembrano voler filtrare attraverso una cultura musicale europea che Costa e Niggenkemper si portano dietro perché entrambi provenienti dal vecchio continente. Qui incontrano la caratura jazz a stelle e strisce di Schlegelmilch pianista che pur suonando jazz non ha mai rinunciato agli studi classici sullo strumento. Il mosaico che ne scaturisce brilla per originalità e per l’esclusiva identità e nel contempo affascina perché imbevuto di una costante attività di ricerca che i tre perseguono incondizionatamente. 

domenica 19 febbraio 2012

Watching Cartoons With Eddie

Ehran Elisha  
Roy Campbell

OutNow Recordings


La OutNow Recordings è una giovane etichetta discografica nata per l’impegno di tre musicisti israeliani: Il sassofonista Yoni Kretzmer e i chitarristi, Yair Yona e Ido Bukelman. Un’etichetta pensata per dare voce alla musica jazz improvvisata e d’avanguardia. Tra le prime incisioni che sono state immesse sul mercato discografico nell’ultimo trimestre del 2011 c’è questo eccellente album che affianca il batterista Ehran Elisha al più noto trombettista newyorkese Roy Campbell. Una registrazione datata ottobre 2008, realizzata a Brooklyn, NY, dal titolo singolare che rivela, ancor prima dell’ascolto, l’essenza dell’incisione. Guardando i cartoni con Eddie, questa la traduzione in italiano, è chiaramente ispirato al compianto batterista Ed Blackwell e ai suoi duetti con Don Cherry e Wadada Leo Smith nonché alla sua predilezione per cartoni animati che Elisha conosce bene per essere stato allievo proprio di Blackwell. L’apertura evidenzia un ambient di puro free bop giocato su un fitto interplay fra i due protagonisti con la tromba di Campbell fortemente espressiva intrisa di grande passionalità e con il drumming di Elisha intenso, fantasioso e grondante di musicalità. La terza traccia “For BD” dedicata al grande Bill Dixon è una delle parentesi più interessanti di tutto il cd, i due musicisti ricreano climi e sonorità molto vicine a quelle del grande maestro ma anche la struttura articolata del brano, la sua durata e il complesso layout che definisce, denotano la condivisione di  idee con Dixon. Le fasi successive del cd rivelano una sfaccettatura più scarna del linguaggio jazz del binomio Campbell-Elisha, le atmosfere si fanno più africaneggianti e tribali: la lunga “Aesthetic Encounters” (part.1) è ipnotica, sembra scandire le fasi di un rito propiziatorio mentre con “The Dizzy Roach” il duo rende omaggio al grande Gillespie. Gli ultimi due episodi rilasciano  tutto il potenziale free, denso di frenesia ritmica che pervade il duo,   accade in “Faith Offers Free Refills” , contrapposto a un momento di introspezione acquiescente, quale è “October”. Un album frutto di una collaborazione di due decadi tra Campbell ed Elisha che si colloca tra le produzioni più stimolanti di questi ultimi mesi e che, anche se ispirata a grandi musicisti di un recente passato, evidenzia un’identità propria e di assoluto valore.

Ehran Elisha & Roy Campbell - Watching Cartoons with Eddie (OutNow Recordings Sampler #1) by outnowrecordings
 

sabato 18 febbraio 2012

4 Stories

Matt Renzi 
Stefano Senni 
Jimmy Weinstein

El Gallo Rojo


In tre: Matt Renzi, sax, Stefano Senni, contrabbasso e Jimmy Weinstein, batteria, si sono ritrovati nello studio di registrazione di quest’ultimo, a Padova, il 12 ottobre 2010 per una session tra musicisti abituali frequentatori della scena jazz più creativa. Una session che non anticipava una relativa produzione discografica che invece a sorpresa oggi ci ritroviamo disponibile tutta improntata su un’oralità estemporanea tra musicisti che trovano un ispirato interplay in quella che di fatto è un’articolata suite divisa in quattro parti. E’ Renzi a tracciare le coordinate di un percorso espressivo variegato in cui il suo sax assume toni e dinamiche cangianti sempre contraddistinte da un’intensità di fondo che lascia trasparire, a tratti, una liricità suadente e passionale a cui si contrappone in altri momenti una visceralità nervosa. Questi elementi attraggono in primo luogo i due suoi compagni di viaggio, Senni e Weinstein, che convergono il loro apporto sintonizzandosi sulla stessa lunghezza d’onda del sassofonista. E’ cosi che il combo appare sin dalla prima traccia “First Story” che si consuma proprio con il definirsi di questa sinergia e ciò si avverte con chiarezza nella parte centrale del brano quando l’intreccio delle tre componenti strumentali si mostra magnificamente bilanciato e armonizzato. In “Second Story” l’ambient si fa ipnotico, i fraseggi sinuosi del clarinetto, che Renzi alterna al sax tenore, sono contrappuntati da una sezione ritmica per nulla ammaliata dalle inflessioni conturbanti dello strumento a fiato; c’è un’ interazione  iperattiva mista a fantasia, da parte del duo, da cui prende vita successivamente un ostinato di contrabbasso e un solo di Senni. La seguente “Third Story” esordisce con un tema danzante intriso di una velatura etnica che via via lascia il posto ad una improvvisazione sempre più densa di ritmiche ostinate con parentesi rarefatte in cui si definiscono dialoghi a due  che riportano in primo piano le tendenze avanguardistiche dei tre protagonisti forse qui un po’ intimorite dall’ architettura totalmente estemporanea della performance. Ed è in questo contesto, così come nella quarta ed ultima traccia, che sopravviene una qualche ripetitività di frangenti già dipanati nelle tracce precedenti. Aspetti quest’ultimi certamente inevitabili, quando tutto nasce in modo spontaneo e in relazione ad un evento improvvisato, e che, comunque, non sminuiscono la bontà delle 4 Stories narrate. 

Giuseppe Mavilla


ascolta i sampler qui

martedì 7 febbraio 2012

Solitario

Alessandro Fedrigo

nusica.org


L’etichetta nusica.org è una nuova realtà del panorama musicale italiano che nasce con obiettivi alternativi. Visitando il relativo sito si ha un’idea ben precisa di quella che è una sorta di mission prefissata dalle varie attività e che nei fatti è poi il vero scopo per il quale l’idea ha preso consistenza. Uno dei primi obiettivi è condividere e diffondere sulla rete le produzioni discografiche (disponibili comunque anche per l’acquisto in formato cd) dei vari musicisti che scelgono di operare secondo questi dettami. Così è accaduto per la produzione n.1  dal  titolo Solitario firmata dal bassista  Alessandro Fedrigo. Dodici brani per basso acustico incisi e resi liberamente disponibili per l'ascolto e per il download dalla rete, in formato compresso, sul sito dell’etichetta. Un vero e proprio studio approfondito, come precisa lo stesso autore nelle note di promozione, sugli aspetti polifonici della chitarra basso acustica senza tasti. Dei dodici brani vengono resi fruibili su un apposito link , le relative partiture nonché l’analisi dei pezzi. Il lavoro è schematicamente divisibile in tre ambiti diversi infatti ci troviamo di fronte a cinque composizioni originali firmati da Fedrigo ai quali si aggiungono le personalissime interpretazioni di quattro arcinoti standard jazz nonché tre libere improvvisazioni. L’ascolto dei dodici episodi è un’esperienza assolutamente gradevole, Fedrigo libera dalla sua chitarra basso fraseggi lirici e contrappunti ritmici che  ridisegnano una tavolozza sonora dalle innumerevoli colorazioni tonali. Un sound intrigante godibile per i suoi raffinati risvolti armonici restituiti con originalità e senza inutili ostentazioni virtuosistiche. Molti i momenti intensi e i passaggi struggenti durante l’ascolto della selezione dei dodici brani inclusi nel progetto: come non evidenziare, ad esempio, la riuscita riproposizione di “Autumn Leaves” con l’analitica esposizione del tema, le alternate pause soffuse, le riprese scandite con la dovuta prontezza, le parentesi improvvisate, i brevi riff mai ostinati oltre il dovuto; e come non percepire l’alone malinconico della stagione autunnale nel delicato tema della successiva “Novembre”; c’è poi l’aspetto minimalista della poetica di Fedrigo riscontrabile ad esempio in “Improvvisazione n.1” dove il musicista opera in totale simbiosi con lo strumento; impressiona anche la sua capacità di articolare in un unico brano gli episodi cangianti di un brano come  “Acquaforte”. In questi ricorrenti ambiti si sviluppa l’intero cd che ci rivela un musicista di grande sensibilità espressiva. Un cd che inaugura con i migliori auspici l’attività dell’etichetta nusica.org, un progetto di notevole spessore culturale è artistico fortemente innovativo e di grande aiuto per la diffusione della musica di qualità.






mercoledì 18 gennaio 2012

Urban Fabula

Seby Burgio
Alberto Fidone
Peppe Tringali


Abeat Records


Un trio tutto siciliano quello che ha realizzato questo godibilissimo Urban Fabula: Seby Burgio al pianoforte, Alberto Fidone al contrabasso e Peppe Tringali alla batteria. Tre  musicisti che uniscono capacità strumentali ad una attitudine alla scrittura semplice ma articolata che da luogo a una manciata di composizioni che definiscono uno standard qualitativo veramente apprezzabile. Otto le composizioni originali, cinque scritte insieme dal trio, una in solitudine per ognuno dei tre. Completano la selezione due standard immortali per la storia del jazz: “Round Midnight” e “On Green Dolphin Street” di cui forse, a mio parere, si sarebbe potuto fare a meno vista il livello qualitativo delle composizioni originali e tenuto conto che si tratta di due standard già ampiamente ripresi.  In definitiva i dieci titoli tracciano un percorso variegato in cui risalta l’urgenza espressiva di Seby Bugio, pianista dotato di una tecnica superlativa, fulmineo nel tracciare geometrie vorticose sulla tastiera. Ma i suoi interventi in tutto il disco non sono solo dirompenti,  lui sa disegnare delicate melodie come in “Someday my prince will chat” cesellare contrappunti inappuntabili con il suo pianismo ricco di forza espressiva e frenesia. E’ una gran bella scoperta per chi come me non lo conosceva, tanto quanto Alberto Fidone contrabbassista elegante e discreto che ama usare l’archetto nei tratti più lirici di alcuni brani ma anche in altri ambiti come accade in “La Marcia dell’ultimo Moschettiere”. La sua cifra stilistica è pregevole per un’innata compostezza e relazione costante con il resto del trio. Equilibrato e puntuale con il suo drumming, Peppe Tringali completa il trio con un incedere brioso e un pizzico di fluorescenza grazie all’ampio uso dei piatti, ascoltatelo nell’intro di “Albori all’imbrunire”. Il trio predilige gli scatti brucianti, i cambi di ritmo, le brevi riflessioni, i temi sottilmente cantabili e non disdegna gli ostinati; gli otto brani originali sono un campionario di questi elementi, un hard bop europeo che oscilla fra tradizione e contemporaneità.






lunedì 16 gennaio 2012

Trés Cabeças Loucuras

São Paulo Underground

Cuneiform Records


Per nostra fortuna l’iperattività musicale di Rob Mazurek ha prodotto, almeno fino ad ora,  lavori di indubbia validità, vuoi per l’eclettismo che contraddistingue il trombettista e i musicisti che di volta in volta lo affiancano, vuoi per la capacità di proporsi in contesti sicuramente originali. Questo di cui ci occupiamo oggi è un’altra ventata di frizzante musicalità che si aggiunge, a quella espressa con il magnifico Calma Gente e come quest’ultimo nasce in quella che può definirsi la seconda patria per questo trombettista ovvero il Brasile. Ed è proprio con musicisti brasiliani, i São Paulo Underground, di cui lo stesso Mazurek è componente,  che è stato inciso l’album: Mauricio Takara,cavaquinho, batteria, percussioni, elettronica, voce; Guilherme Granado,  tastiere, loops, samplers, percussioni, voce; Richard Ribeiro, voce, batteria. A loro vanno aggiunti: Kiko Dinucci,  chitarra, voce; Jason Adasiewicz, vibrafono; John Herndon, batteria; Matthew Lux, basso. Gli ultimi tre presenti solo in alcuni brani, il loro coinvolgimento è il trait d’union con quanto viene prodotto da Mazurek a Chicago. Il cd appare percorso da una incalzante frenesia ritmica, Mazurek e l’entourage brasiliano definiscono un layout che unisce ritmo ed elettronica a  cui si aggiungono riff accattivanti di immediata assimilazione. All’ascolto si materializzano echi del grande Sun Ra e si rafforza la certezza che la costante attività di ricerca del trombettista chicagoiano unita ad una vena creativa esclusiva ne fanno uno dei paladini più interessanti del nuovo jazz. Ed ecco che all’ascolto fluiscono una dopo l’altra le accattivanti armonie ritmiche di “Jagoda’s Dream” e “Carambola”; le conturbanti atmosfere di “Colibri”; le ruvide sonorità di “Pigeon”; gli schiamazzi ritmici di “Just Lovin”. C’è un ampio uso di strumenti elettronici, di vocalità filtrate. La cornetta di Mazurek è protagonista in ogni ambito, ostinata nei riff, ma sempre illuminata da una singolare identità identificativa. Nel finale il combo decide di mettere da parte un po’ delle diavolerie elettroniche fin qui impiegate per dare spazio al vibrafono di Adasiewicz, alla batteria di Herndon e al basso elettrico di Lux ridefinendo  così un sound più americano con “Six Six Eight” e ribadendo che non si dorme sugli allori nemmeno nell’ambito dei  trentotto minuti e più di Trés Cabeças Loucuras.

martedì 10 gennaio 2012

The Throes

Nate Wooley + Taylor Ho Bynum


Cimp Records

Due trombettisti: Nate Wooley e Taylor Ho Bynum, quest’ultimo alla cornetta, sono i titolari di questo cd realizzato in quartetto con una sezione ritmica tra le meglio assortite: Ken Filiano, contrabbasso e Thomas Fujiwara batteria. Post bop, nello svolgersi delle dieci tracce di cui si compone l’opera, più volte trasmutante in free bop, un groove urbano da metropoli africana e una vocalità variegata, espressiva della personalità dei due protagonisti ai fiati. Entrambi prestigiosi, vincenti già nelle loro private produzioni, prolifici e aperti a linguaggi a volte anche esasperati, in prima linea nell’assegnare alle loro trombe ruoli portanti e ambiziosi senza dover ricorrere a scontate emulazioni. Wooley ama le ariosità definite nei suoi fraseggi ma non disdegna esagerare  con azzardi timbrici; Ho Bynum colleziona sonorità strascicate e ironiche, la sua cornetta a volte scoppietta a mo’ di pernacchia ma l’estro è grande e la visione, di un jazz d’avanguardia, immensa. Le sue frequentazioni dell’entourage di Braxton sono state fondamentali e hanno lasciato il segno. Se a due musicisti così fatti affianchi la sezione ritmica sopra descritta hai fatto centro: Ken Filiano ha mille frecce al suo arco, e la frase fatta mai come in questo caso è adeguata, dal suo contrabbasso promuove ritmo propulsivo ma quando impugna l’archetto denuncia i suoi trascorsi con il mastro Dixon ed eleva la scrittura e l’improvvisazione a livelli  eccelsi. E che dire di Thomas Fujiwara raffinato batterista di cui ho già scritto a proposito del suo Actionspeak i dettagli del suo drumming incantano. Varia l’entità della sua presenza sulla scena con grande sensibilità musicale. Basta ascoltare “Narrows”, una delle perle di quest’opera, per meravigliarsi dell’ingegno jazzistico dei quattro: ambiti cameristici e dialoghi free tra i due fiati, una sorta di narrazione sonora e interattiva dai mille intrecci. E poi “Ish” che inizia quasi fosse una nenia con i due fiati in corale e poi evolve inaspettatamente in una dirompente e frenetica improvvisazione. E come non citare i quattro duetti i cui ogni protagonista si produce a turno in un interplay esclusivo  con gli altri tre: totale libertà e piacevoli intuizioni.





lunedì 2 gennaio 2012

Winter Sun Crying

Composer in Dialogue
William Parker & ICI Ensemble

Neos Jazz


Muffathale di Monaco, 20 dicembre 2009 è in scena il progetto Winter Sun Crying composizione in dialogo tra un insieme di musicisti dell’avanguardia jazz. Protagonisti : William Parker, contrabbassista newyorkese, esponente di spicco della downtown e l’ICI Ensemble formazione europea che opera dal 1999 da sempre orientata alla stretta collaborazione con musicisti di primo piano nell’ambito dell’improvvisazione jazz. Quindici brani nella descrizione riportata sul retro della copertina per quella che di fatto è una suite di ben 62 minuti e 56 secondi interpretata da una band di 10 musicisti che comprende oltre al già citato Parker (double-bass, piccolo, trumpet, shakuhachi, double reeds) i teutonici: David Jager, soprano & tenor saxophones; Roger Jannotta, alto saxophone, piccolo, flute, clarinet; Markus Heinze, baritone & tenor saxophones; Christofer Varner, trombone, sampler; Martin Wolfrum, piano; Johanna Varner, cello; Gunnar Geisse, laptop & laptop guitar; Georg Janker, double-bass e Sunk Poschi, drums. L’ascolto del cd è come un viaggio attraverso una galassia di suoni e interazioni assolutamente incantevoli. Un continuo sorprendersi per come questi musicisti riescono ad interagire creando dialoghi dalle varie sfaccettature timbriche.  Un avvicendamento di climi e atmosfere che non ti aspetti. Un susseguirsi di attività vulcanicamente in ebollizione, luci e colori mutanti, percorsi labirintici apparentemente senza sbocchi che assumono traiettorie imprevedibili in un’incessante fluidità temporale e dialettica senza alcuna ripetitività. Si intravede dietro tutto ciò una sorta di intelaiatura di fondo un’accennata progettualità da svolgere in una condizione di un’assoluta oralità. L’improvvisazione è il sale essenziale di un’opera certamente unica che si aggiunge al carnet delle collaborazioni già attuate dall’ICI Ensemble con musicisti quali  Vinko Globokar, Giancarlo Schiaffini, Pierre Fabre, George E. Lewis ed Evan Parker, solo alcuni dei tanti, i più noti. Un’opera che definisce il potenziale espressivo e la sintesi che può derivare dalla collaborazione di musicisti europei ed esponenti dell’avanguardia d’oltreoceano. Da ascoltare e riascoltare fino a superare un apparente aspetto ostico che un primo approccio potrebbe falsamente evidenziare. Imperdibile.

mercoledì 28 dicembre 2011

ri-ascolti: - Paragon - Sam Rivers / Dave Holland / Barry Altschul


Dopo Paul Motian ci ha lasciati anche Sam Rivers, tempi tristi per noi cultori del jazz più creativo e libero. La notizia è arrivata ieri mentre tutti eravamo ancora in qualche modo alle prese con i postumi della festività natalizia e a tarda sera mi sono limitato a twittare un mesto goodbye e un sentito R.I.P. Oggi sul mio ipod ho in play uno dei suoi capolavori: e’ Paragon album registrato al Davout Studio di Parigi il 18 aprile del 1977, di cui esiste una sola versione in vinile della Fluid Records, ormai fuori stampa. Rivers è stato uno dei grandi esponenti del free jazz, la sua infanzia a Chicago, figlio di cantante e di una pianista, ne hanno plasmato la personalità di musicista insieme agli studi in una alta scuola cattolica sempre in quella città. Intorno ai vent’anni, era nato il 25 settembre del 1930, approda a Boston dove successivamente diventa insegnante presso la Berklee School. Poi il suo trasferimento  a New York, la sua tournèe con Miles Davis nel 1964 e via di seguito il sodalizio con Cecil Taylor e l’attività con lo studio Rivbea, nel 1973, in un loft di NewYork coadiuvato dalla moglie Beatrice. Da qui in poi sarà tutta un’ascesa nell’olimpo dei più arditi esponenti del free e nel 1978 questo lp con Dave Holland, basso e cello, Barry Altschul, batteria e percussioni. Lui si alterna, da vero pluristrumentista, al sax soprano e tenore, flauto e pianoforte. La prima traccia “Ecstasy” è nervosa, permeata da un’urgenza espressiva dirompente, il trio è impegnato in un interplay fitto dove ogni passaggio ha una sua logica costruttiva ed evolutiva verso un flusso libero lasciato all’inventiva del protagonista. Poi il  minuscolo tema si ripropone imbevuto delle declinazione improvvisate del leader. “Bliss”, di seguito è piatta quasi strascicata con Rivers al flauto e Holland al cello. Cameristica e grigia disegna una melodia indefinita, fragile e del tutto insipida, appena arricchita dalle bolle cromatiche-percussive di Altschul. Con “Rapture” il clima torna frenetico, Rivers sembra sfuggire ai suoi compagni fin quando arriva l’assolo, breve ma intenso, di Alschul: fluorescenti, fluidi e contorti così si percepiscono i tre nel finale del brano. Fin qui la side A del 33 giri mentre nella prima delle due tracce della side B il leader è al pianoforte con l’ombra appena percettibile di Taylor dietro. Splendido il suo confrontarsi alla tastiera   con la frenesia della coppia ritmica. L’ultima traccia, che da il titolo all’intero lp, traccia nel contempo il tratto espressivo e la filosofia free del sassofonista, il suo jazz è frutto di un 'attività di ricerca non è il free votato all’oralità sfrenatamente estemporanea di altri esponenti del genere. “Paragon” in chiusura è mutante, frastagliata, cangiante nei ritmi e nel climax, avanguardia e libertà strutturata e grande passione. In questo brano finale lui è impegnato ai sax, al flauto e al piano incise singolarmente e poi sovrapposte in sede di missaggio. Indimenticabile e indiscutibilmente insostituibile nella storia del jazz, cosi è stato e sarà per sempre Samuel Carthorne Rivers.




 

domenica 18 dicembre 2011

Fremdenzimmer

Baloni

Clean Feed


Sarebbe riduttivo collocare esclusivamente in ambito jazz il trio formato da Joachim Badenhorst, bass clarinet, clarinet e tenor sax, Frantz Loriot, viola e Pascal Niggenkemper, contrabbasso, perché si tratta di musicisti che pur esprimendosi  attraverso una dialettica prettamente jazzistica  caratterizzano il loro linguaggio  con sonorità molto vicine alla musica da camera e con una costante enfasi creativa d’avanguardia. Badenhorst, belga,  è  membro del trio del celebre batterista Han Bennink e attualmente fa anche parte dell’ensemble “Novela” del sassofonista Tony Malaby di cui è appena uscito l’omonimo album. Loriot, franco-giapponese, ha militato nei gruppi di musicisti come Joelle Léandre, Barre Philips, David S.Ware e Anthony Braxton. Niggenkemper, franco-tedesco, è uno dei membri del trio HNH  che ha dato alle stampe l’omonimo cd; è componente del quartetto che ha inciso il pregevole Polylemma ed è  titolare dello splendido Upcoming Hurricane dove è affiancato da due esponenti della downtown newyorkese:  il pianista Simon Nabatov e il batterista Gerard Cleaver.  Questo  recente Fremdenzimmer, inciso per la intraprendente etichetta portoghese Clean Feed, è firmato “Baloni” nome assunto dal trio unendo le prime due lettere  dei  loro cognomi. Si tratta di una produzione di grande valore: un misto di  originalità e  azzardo che premia la ferma volontà del trio di uscire da canoni espressivi già conosciuti. L’iniziale “Lokomotive” è il biglietto da visita del trio, un brano fluido, in continua metamorfosi con i tre musicisti in piena simbiosi interattiva: i tre strumenti sembrano muoversi in assoluta assonanza sonora. Niggenkemper, come fa spesso, usa in prevalenza l’archetto, i suoni si mescolano, si sovrappongono e poi ancora si evidenziano con analiticità. In “Searching” traccia n.3 delle 11 contenute nel cd c’è un dialogo elaborato anche sul versante delle sonorità tra i fiati e la viola con il contrappunto del contrabbasso; frazioni di studio si alternano ad altre imbevute di leggera tensione in un crescendo vibrante di sottile armonia e ritmo. I toni gravi che sopraggiungono spengono i timidi raggi di luminosità poco prima avvistati e l’atmosfera si fa rarefatta con il sopraggiungere di “Torsado” che vede in primo piano la viola di Loriot. Il solo del franco-giapponese è impregnato di grande partecipazione emotiva, l’archetto preme con violenza sulle corde mentre contrabbasso (con l’archetto) e fiati si affiancano con un ciclico giro armonico. Il clima dell’intera produzione si realizza in questa dimensione di ricercata attività improvvisativa e lo si scopre andando avanti nell’ascolto: Badenhorst, Loriot e Niggenkemper ricercano l’assoluto orizzonte di un'ideale commistione tra le varie essenze della musica contemporanea e riuscire a percepirne i contrasti, le affinità e le possibili sintesi per poi riproporle nella dimensione temporale e definita di una produzione discografica è sicuramente di grande merito. Stridulo, delicato, tempestoso ma straordinariamente unico e affascinante: questo è Fremdenzimmer.



BaLoNi at NewAdits Festival 2010 di re1of5de643s2wsd

domenica 11 dicembre 2011

Eto

Sakoto Fujii Orchestra New York

Libra Records


Chi frequenta abitualmente questo blog avrà senz’altro notato che la pianista Satoko Fujii è una delle mie artiste preferite, sono parecchi gli album che la riguardano che io ho già recensito. Apprezzo la sua creatività, la visione ampia del concetto jazzistico che lei promuove, la promiscuità dei suoi progetti, il suo sapersi confrontare e rendersi disponibile anche in collaborazioni dove non risulta impegnata in prima persona. E poi ci sono le orchestre, vere e proprie big band disseminate in quattro città diverse: Kobe, Nagoya, Tokio e New York. Con quest’ultima la Fujii ha di recente realizzato il cd Eto che prende il nome dallo Zodiaco cinese a cui l’intero lavoro è ispirato, un lavoro nato nell’anno in cui il suo compagno, Natsuku Tamura, trombettista al suo fianco anche nelle esperienze artistiche, ha compiuto sessantenni, un’età il cui raggiungimento è considerato in giappone di buon auspicio e che da luogo ad una celebrazione chiamata Kanreki. Ben 17 le tracce presenti di cui 14 brani costituiscono la suite che prende il nome dal titolo dell’album ovvero un’overture e un epilogo uniti da 12 brevi brani scritti dalla Fujii riferendosi ai 12 animali che rappresentano gli altrettanti segni  dello zodiaco cinese. In ognuno di questi brani è stato riservato uno spazio per il solo di ognuno dei dodici fiati coinvolti nell’orchestra newyorkese. Con la Fujii sono infatti partecipi  ben altri 14 musicisti: Noriega, Krauss, Eskelin, Speed, Laster, sax; Ballou, Robertson, London e Tamura, trombe; Hasselbring, Sellers, Fiedler, tromboni, Takeishi, basso, Alexander, batteria. L’apertura della selezione è con il brano “The North Wind and the Sound” dai toni gravi e dall’incedere pomposo, ricco di cambi di tempo e variegate trame musicali spesso in crescendo con in grande evidenza i fiati. Poi la sezione ritmica introduce l’overture della suite ed è tutto un susseguirsi di una miriade di esclamazioni sonore che prendono forma e interazione. Il variegato e affollato frontline dei fiati si esprime evidenziando le singolari e specifiche individualità in rapporto con l’interezza dell’orchestra. I bozzetti si susseguono uno dopo l’altro:  “Rat” evidenzia il solo di Speed che zigzaga fulminante con il pianoforte della leader; “Ox” è un’immagine leggera e vellutata illuminata dal trombone di Sellers, lirico e in crescendo, supportato dall’intera band; riff funkeggianti introducono il solo di Eskelin in “Tiger”; in “Dragon” il trombone distorto di Hasselbring trascina, sullo stesso ambient sopra le righe, gli altri fiati; e poi Tamura in “Snake” rompe ogni indugio, ogni limite ipoteticamente possibile. Il suono della sua tromba e l’articolazione dei suoi interventi  esprimono estro e provocazione. In quest’ambient newyorkese dove il combo elabora le sue idee viene fuori la tipicità unica di un linguaggio indefinibile gestito con una ampia e lungimirante concezione dalla pianista giapponese. Al di là di geometrie, anche in questo caso rispettose delle tradizioni delle big band, ma imbevute di intuizioni visionarie, si materializzano in questo lavoro nuovi stimolanti orizzonti per il jazz interpretato da formazioni allargate.


sabato 3 dicembre 2011

Polylemma

Joe Hertenstein
Thomas Heberer
Joachim Badenhorst
Pascal Niggenkemper

Red Toucan Records


Risiedono a Brooklyn, N.Y., ma sono europei: Joe Hertenstein, batteria e Thomas Heberer, tromba, dalla Germania; Pascal Niggenkemper contrabbasso, franco-tedesco; Joachim Badenhorst clarinetto basso, belga. Dalla loro intensa attività oltre oceano è nato il trio HNH, dalle iniziali dei primi tre, e anche l’omonimo e interessante album per la Clean Feed. Con l’aggiunta di Badenhorst, voluto da Hertenstein, leader di entrambe le formazioni, il trio, divenuto quartetto, ha inciso questo Polylemma, raffinato e ricercato lavoro in bilico tra ambiti strutturati e libere architetture. Otto composizioni divise a metà tra Hertenstein ed Herberer per tracciare una sorta di free bop a tratti imbevuto di fraseggi swing  e sinuosità avvolgenti altre volte intriso di una dialettica d’avanguardia dai toni rarefatti e da un ambient cameristico. In primo piano il fluire e l’intersecarsi delle vocalità dei due strumenti a fiato, tromba e clarino, supportati da una vibrante poliritmia che esalta le doti del duo Hertenstein-Niggenkemper, con il primo impegnato a nutrire la performance con un drumming intenso e mutante, mai slegato dalle dinamiche in atto e soprattutto mai in secondo piano. Niggenkemper, di cui è stato recensito qui il recente Upcoming Hurricane non è da meno con il suo puntiglioso contrabbasso e non disdegna anche in questa occasione di dare ulteriore prova della versatilità del suo strumento. La selezione si sviluppa su due binari paralleli, rispecchiando la diversa metodologia compositiva di Hertenstein e Herberer: da una parte una irrinunciabile ricerca di armonia e una modularità che delinea una struttura definita dei brani; dall’altra la conservazione di una tensione interattiva, di un dialogo nudo, non necessariamente strutturato, ma orale.  La successione dei brani è stata opportunamente finalizzata a creare un alternarsi di questi ambient, allo scopo di evidenziare la natura del progetto fortemente creativo e impregnato dei fermenti innovativi dei luoghi in cui i quattro protagonisti operano.


Polylemma [DEMO] by b-artist-relations

domenica 27 novembre 2011

Dogon A.D.

Julius Hemphill

International Phonograph Inc.


Il 2011 sembra essere l’anno delle ristampe importanti nella discografia jazz, ristampe di album essenziali e nel contempo introvabili. Come già accaduto per Intents and Purposes riproposto qualche mese fa e qui recensito, adesso è il turno di Dogon A.D. del sassofonista Julius Hemphill. Stessa etichetta l’ International Phonograph Inc. e stessa presentazione, in forma ridotta ma in rigido e lucido materiale cartonato, di quello che era il contenitore del prezioso vinile pubblicato nel 1972 dalla casa discografica MBARI Records, di cui era proprietario lo stesso Hemphill, che però conteneva solo tre della quattro tracce  a suo tempo registrate in uno studio di ST. Louis nel Missouri. Mancava infatti nell’originale lp il brano “The Hard Blues” che poi fu inserito nel successivo album di Hemphill  Coon Bid’ness inciso per l’Arista / Freedom Records nel 1975. Ricompattata quindi l’originale opera, in questa riedizione, ispirata al popolo Dogon, tribù dell’Africa localizzata nel territorio della repubblica del Mali, e alle loro danze rituali che a volte venivano  riviste nella loro forma e adattate ai gusti dei turisti occidentali, da qui il sinonimo AD. Questi i riferimenti antropologici, mentre relativamente al linguaggio jazz che -Hemphill al sax e al flauto, Baikida J.E. Carroll, tromba, Abdul Wadud, cello e Philip Wilson, batteria- mettono in gioco ci troviamo di fronte ad un formula del tutto singolare per la capacità di compattare elementi be bop e hard bop, blues e soul-funky tenendo anche in debito conto i fermenti della new thing in piena evoluzione in quegl’anni. L’iniziale “Dogon A.D.” che da il titolo all’album presenta un ostinato riff dagli accenti funky, scandito dal violoncello e dalla batteria e contrappuntato dai fiati, sul quale si libera l’intensa improvvisazione del leader  dai forti umori soul-blues alla quale fa eco quella alla tromba di Carroll, ricca di pathos e di energia debordante. La successiva “Rites” è densa di geometrie free-bop e ritmi frenetici, mentre in “The Painter” l’atmosfera sembra acquietarsi per dare spazio ad una ballata dai toni pacati e riflessivi che evidenzia un ricercato e improvvisato dialogo di Hemphill al flauto con la tromba di Carroll. Si chiude con “The Hard Blues” poco più di venti minuti all’insegna di un blues viscerale e incalzante con l’innesti di improvvisi riff dalla struttura funky. Questi i dettagli della riedizione, per la prima volta in digitale, di un’opera indispensabile per capire la storia del jazz e irrinunciabile per la qualità e la quantità delle intuizioni di chi l’ha concepita. Tenete però in debito conto che la tiratura è limitata a cinquecento copie.




mercoledì 23 novembre 2011

ri-ascolti: - Lost in A Dream - Paul Motian / Chris Potter / Jason Moran


Febbraio 2009, al Village Vanguard di New York si registra il live Lost in A Dream in scena il trio Paul Motian,Chris Potter, Jason Moran. Sarà pubblicato l’anno successivo per la Ecm e sarà presente nelle liste dei migliori album del 2010. Oggi a poco più di ventiquattro ore dalla triste notizia questo live diventa la penultima esperienza discografica di  Motian che all’età di ottantanni ha cessato di vivere. Era da tempo che pensavo a un’altra etichetta con cui classificare le impressioni  d’ascolto  di album non recentissimi, pubblicati ancor prima della nascita di questo mio blog ed oggi do il via a questo genere di post che, più che delle recensioni, sono l’espressione di sensazioni che nascono da un ri-ascolto di album già noti. Lost in A Dream è un album dall’atmosfera soffusa, ricco di sottili melodie a volte appena accennate, quasi sussurrate e arricchite attraverso un dialogo intimo fra i tre musicisti. Straordinariamente lirico, Potter, come poche volte lo abbiamo ascoltato, raffinato e jarrettiano il pianoforte di Moran che appare illuminato da una divinità e poi lui il batterista che ha attraversato la storia del  jazz, iniziando al fianco di musicisti come: Thelonious Monk, Coleman Hawkins, Lennie Tristano, Tony Scott e George Russell, proseguendo poi a metà degli anni ’50 accanto all’indimenticabile Bill Evans. E ancora, negli anni ’60, prima con Paul Bley poi con Keith Jarrett, e come non ricordare il sodalizio con Charlie Haden e potrei continuare così a nutrire una lunga lista. Tornando a questo cd, che sto ascoltando mentre butto giù queste righe, lo sento accarezzare i piatti, strofinare i tamburi con le spazzole. Mi affascina il suo personalissimo musicare con la batteria e mi colpisce l’energia quasi free di “Drum Music” un momento out rispetto all’ambient del resto dei brani alla fine del quale Motian presenta  i suoi compagni di viaggio, in questa selezione di dieci brani tutti a sua firma tranne il reprise di “Be Careful it’s My Heart” composto da  Irving Berlin. Ascoltando oggi questo cd avverto un’ inevitabile  alone di tristezza che prima non avevo captato, probabilmente Motian quella sera era già a conoscenza del male che lo avrebbe portato via e sicuramente avrà ancora goduto per quella magica professione di musicista che le consentiva di essere lì in quel tempio del jazz newyorkese. Grazie Mr. Motian per tutto il jazz di questi anni.