Una discografia che
consta di 100 album, incisi in trent’anni, per il sassofonista Ivo
Perelman, un traguardo raggiunto nel 2020 e festeggiato con la
pubblicazione di tre nuovi lavori: Dust
of Light / Ears Drawing Sounds
inciso con un virtuoso di chitarra, il francese Pascal Marzan; The
Purity Of Desire con Gordon
Grdina e Hamin Honari e Shamanism
con
Joe Morris e Matthew Shipp. A questi si sono aggiunti prima della
fine dello stesso anno: Polarity,
in
duo con il trombettista Nate Wooley; Garden
of Jewels in
trio con Whit Dickey e Mathew Shipp e un documentario "Ivo
Perelman: A musical Storyteller" dedicato alla sua carriera di
musicista. Un musicista estremamente prolifico, il nostro, le cui
produzioni non smettono mai di affascinare e di sorprendere. L’
ennesima dimostrazione di quanto appena affermato è questo Dust
of Light / Ears Drawing Sounds
scaturito da un incontro
inedito tra i due musicisti avvenuto a Londra che li ha
immediatamente avvicinato.
Dopo i recenti duetti
con Ramon Lopez in Confluence, Tatsuya Yoshida in Baikamo,
Joe Fonda in Foure dopo lo splendido solo Stone,
(tutti recensiti in questo blog, per leggere le relative
recensioni basta cliccare sul titolo di ogni album) la pianista
Satoko Fujii torna a dirigere la sua Orchestra di New York, una vera
e propria big band di 13 elementi con il meglio dei musicisti
newyorkesi per quella che è l’undicesima registrazione
dell’ensemble (la prima è datata 1997) e per quella che è una
delle cinque orchestre che la Fujii dirige, le altre hanno residenza a: Kobe, Nagoya, Tokio e Berlino.
Per il 75° compleanno
del grande sassofonista Anthony Braxton che ricorre quest’anno il
trio Thumbscrew, formato dalla chitarrista Mary Halvorson, dal
batterista Tomas Fujiwara e dal contrabbassista Michael Formanek,
realizza un progetto che raccoglie alcune composizioni del musicista
di Chicago, selezionate durante un pomeriggio trascorso dal trio alla
Tri-Centric
Foundation, a New Haven nel Connecticut. La selezione è stata
indirizzata verso quelle composizioni di Braxton meno conosciute,
magari mai eseguite e comunque adatte ad essere interpretate con
strumenti quali la chitarra elettrica, il contrabbasso, la batteria o
il vibrafono.
La sassofonista
Ingrid Laubrock, di origini germaniche ma dal 2000 cittadina di
Brooklyn, viaggia tra le pagine del suo taccuino dei sogni di questi
ultimi dieci anni e compone le partiture per questa singolare opera
di cinque brani. Scritti inizialmente per un piccolo gruppo formato,
oltre che dalla stessa sassofonista, anche da Cory
Smythe, piano, Sam Pluta, electronics, e da altri tre musicisti
ospiti che intervengono in momenti diversi: Adam Matlock, accordion;
Josh Modney, violino; Zeena Parkins: Electric harp.
Questo
nuovo doppio album di Maria Schneider, compositrice e arrangiatrice
nonché direttrice d’orchestra, esplica la sua essenza già dalla
foto di copertina che ritrae una foglia per metà raffigurante le
tipiche venature di un elemento vegetale mentre l’altra metà
mostra i tratti di un circuito elettronico. E’ la contrapposizione
tra mondo digitale e mondo naturale, tra la rete, i grandi che la
governano e la natura. A quest’ultimo mondo la Schneider si
era già ispirata nella realizzazione del suo precedente lavoro The
Thompson Fields.
di Giuseppe Mavilla(english version) translated by Annapaola Mavilla
Who
knows how many of you know that the whimsical Brazilian musician Ivo
Perelman, now a New York citizen, was a student of classical guitar
first and then of cello as a child. To listen to him, disruptive
and irrepressible, alongside
pianist Matthew Shipp, through a wide discography all marked by
improvisation, would seem unthinkable. And yet Perelman has such a
pronounced musical sensitivity that he is able to make albums
alongside stringed-instrument musicians, as has already happened with
the Strings series of albums, certainly more devoted to the classical
language.
Chissà a quanti di voi è noto che
l’estroso musicista brasiliano Ivo Perelman, oggi cittadino
newyorkese, da bambino è stato uno studente di chitarra classica
prima e di violoncello poi. Ad ascoltarlo dirompente e incontenibile
al fianco del pianista Matthew Shipp, attraverso un’ampia
discografia tutta improntata all’improvvisazione estemporanea,
sembrerebbe impensabile. Eppure Perelman ha una sensibilità musicale
così pronunciata da riuscire a realizzare album anche a fianco di
musicisti di strumenti a corde, come è già peraltro avvenuto con
gli album della serie Strings,
certamente più votati al
linguaggio classico.
Daniel Carter,
Matthew Shipp, William Parker sono tra i musicisti più rinomati
della downtown newyorkese, la loro discografia si è pregiata nel
2018 di uno degli album più interessanti di questi ultimi anni. Si
chiama Serafic Ligh a
cui è seguita la realizzazione di questo Welcome
Adventure! Vol.1 che vede
aggiungersi al trio il batterista Gerald Cleaver. Un quartetto in
tutto e per tutto stellare che propone un progetto che reca nel
titolo il suffisso: vol.1, segno che si tratta di un lavoro che avrà
un seguito.
Album in duo che riunisce dietro il nome Toh-Kichi, quindici anni
dopo la loro ultima registrazione, Erans, inciso per la Tzadik
nel 2004, la pianista Satoko Fujii e il batterista Tatsuya Yoshida. Entrambi
giapponesi hanno percorso strade diverse: Yoshida è un batterista prettamente
dedito alla musica rock alternativa, componente del duo Ruins insieme al
bassista e vocalist Sasaki Hisashi; Fujii è una delle musiciste più prolifiche
e ispirate del jazz contemporaneo. Come già ho scritto più volte è una
musicista aperta al dialogo e alla creatività e vanta una discografia ampia e
variegata.
Figli
di artigiani, i due fratelli Ferrari, Andrea ed Adalberto, sono i
NovoTono, ecclettico duo dalla singolare identità e strumentazione.
Entrami musicisti con ampi e prestigiosi trascorsi musicali, potete
leggere qui la recensione dell'album Wanderer inciso da Adalberto con
il suo LIQ, Los Identities Quartet nel
2013. I due impiegano in questo loro lavoro esclusivamente
strumenti a fiato: Andrea Ferrari: bass clarinet, alto saxophone,
baritone saxophone, Eb tubax; Adalberto
Ferrari: bass clarinet,
clarinet, alto saxophone, soprano saxophone, contrabbass clarinet.
Quattordicesimo album per la pianista canadese Kris Davis, nativa di Vancouver ma dal 2001 cittadina newyorkese. Una discografia qualitativamente sempre in crescendo, in parallelo ad una maturazione artistica che la vede respirare e metabolizzare in pieno i fermenti creativi della downtown music di New York. Questo suo recente lavoro dal titolo Diatom Ribbons, inciso per la sua etichetta Pyroclastic, prende il nome da un processo biologico marino e vede la Davis affiancata da alcuni musicisti che in questi ultimi anni hanno lavorato con lei.
Solida
e duratura, perchè consolidata nel tempo, la convergenza jazzistica
tra il pianista americano Matthew Shipp e il sassofonista brasiliano
Ivo Perelman, da anni risiede a New York ed è anche un artista delle
arti visive. Una convergenza che ha dato luogo ad innumerevoli produzioni
discografiche nonché a frequentazioni ripetute sui palcoscenici del
jazz contemporaneo. Questo live, che trova il duo Shipp / Perelman in
concerto a Norimberga il 26 giugno del 2019, all’interno della
rassegna The
Art of Improvisation,
è un altro esempio della loro infinita e inesauribile vena
espressiva tutta improntata sull’improvvisazione.
Quarto incontro discografico tra la pianista giapponese Satoko Fujii e il contrabbassista americano Joe Fonda, anche questo, come i tre precedenti, sotto l’egida dell’etichetta italiana Long Song. Un dialogo che continua, un confronto che è sintesi della loro collaborazione che non è documentata solo ed esclusivamente da questi quattro album ma continua anche attraverso i concerti che portano in ogni parte del mondo. Un altro percorso dei tanti che la Fujji ha in itinere, ognuno con un layout espressivo diverso dall’altro, in un ambient che predilige strutture libere che lasciano il campo all’inventiva ed alla estemporaneità.
Ritorno
al piano solo per Franco D’Andrea dopo gli approfondimenti sulle
aree intervallari degli album IntervalsI e II. L’ultima incisione
in un contesto simile era stata Todaynel 2013 e adesso, a
distanza di sei anni, il musicista di Merano propone un’opera
sicuramente più ambiziosa, frutto dell’evoluzione e della ricerca
operata in questi anni. E’ questa non è certo una novità
nell’attività musicale di D’Andrea, abbondantemente prolifica e
sempre stimolante, piuttosto è un’ulteriore passo avanti con un
album doppio che nei fatti presenta due suite: Morning e
Afternooh.
di Giuseppe Mavilla (english version) translated by Annapaola Mavilla
Twelve albums in
2018, one per month, for the Japanese pianist Satoko Fujii, who has celebrated her 60th birthday, while in 2019
she came back with her cd Stone in solo piano, already reviewed in this blog.
This was followed a few months ago from Confluence
which I am going to tell you about, while these days the cd Four is out, in a
duo with the bassist Joe Fonda. Furthermore, Entity recorded with New York Satoko Fujii Orchestra and Baikamo in duo with the drummer Tatsuya
Yoshida, are coming soon.
Dodici album nel 2018, uno al mese per la pianista giapponese Satoko Fujii, che l'hanno vista celebrare i suoi sessant'anni, mentre in questo 2019 si è riproposta con il piano solo Stone, già recensito in questo blog. Ad esso ha fatto seguito qualche mese fa Confluence, di cui mi accingo a raccontarvi, mentre è in uscita, in questi giorni, Four in duo con il contrabbassista Joe Fonda. In più sono in arrivo Entity inciso con la Satoko Fujii Orchestra di New York e Baikamo in duo con il batterista Tatsuya Yoshida.
Nuova
produzione per il Mark Dresser Seven, dopo l'ottimo Sedimental
You del 2016. Ancora affiancati ritroviamo Nicole Mitchell
ai flauti; Marty Ehrich ai clarinetti e sax; Keir GoGwilt,
avvicendatosi in questa occasione a David Morales Boroff, al violino;
Michael Dessen al trombone; Joshua White al pianoforte; Jim Black
alla batteria e lo stesso Dresser al contrabbasso. Questo, Ain't
Nothing But a Cyber Coup & You, lo vede ricordare la
scomparsa del sassofonista Arthur Blyte e del pianista Butch Lacy,
musicisti con i quali Dresser ha suonato. A loro sono ispirati e
dedicati rispettivamente la traccia di apertura, "Black Arthur's
Bounce" (in memoria del sassofonista Arthur Blythe) e quella di
chiusura dell'album, "Butch's Balm" (in memoria del
pianista Butch Lacy) la prima caratterizzata da un tema ritmato dai
risvolti funky e dai soli di tutti i componenti il settetto; la
seconda dall'atmosfera pacata a volte struggente, una sorta di nenia
nel ricordo di Lacy.
“Molti
anni fa un amico mi invitò ad ascoltare una registrazione in cui
suonavano due bassisti, Jimmy Garisson e Reggie Workman. Il brano era
India di John
Coltrane. Da quel momento, dopo aver ascoltato quella musica ed
essere entrato in contatto con quel suono, ho deciso che avrei
suonato il contrabbasso”
Si
esprime così il contrabbassista Roberto Bonati in un breve estratto
dalle note di presentazione del suo ultimo album Vesper
and Silence inciso
per l'etichetta Parma
Frontiere. Dopo
varie esperienze con orchestre e più o meno piccoli ensemble (di lui
ho già scritto in questo blog recensendo il suo Heureux
Comme Avec Une Femme,inciso
con la cantante Diana Torto nel 2014, potete leggerne qui la
recensione) Bonati confeziona un album registrato dal vivo in una
location quasi magica: l'Abbazia di Valserena, magnificamente adatta
al layout espressivo del contrabbassista. Si tratta di una chiesa
del XIII secolo, situata nella periferia nord di Parma dove il 20
luglio del 2017, davanti ad un pubblico attento, Bonati ha proposto i
dodici brani che costituiscono la selezione musicale di questo cd.
Il
tutto attraverso un rapporto simbiotico con il suo contrabbasso e
l'utilizzo di un linguaggio variegato che incorpora modalità
espressive di vari generi musicali che danno l'esatta dimensione
delle potenzialità sonore del contrabbasso e di quella che è, così
come la definisce lo stesso musicista parmense, la sua reale anima
musicale.
L'apertura è con la title track, che mette in evidenza un
approccio fisico con lo strumento, come un voler prenderne contatto,
saggiandone le peculiarità più acerbe. Poi dopo una sorta di loop
elettrico ecco elevarsi, nell'atmosfera intimamente rarefatta dell'
Abbazia, una delicata melodia. Il musicista ha impugnato l'archetto, il suono
sembra danzare negli ampi spazi e fra le arcate del tempio. La
successiva “Morning On A Winter Shore” in continuità con la
precedente ha umori improvvisativi, è incalzante, estrosa. La
traccia n.4 “An Angel Game” ha un andamento classico prima che
Bonati metta da parte l'archetto e ci presenti il suo contrabbasso
jazz con “Mr on Hammer on”. Un brano dall'urgenza espressiva
debordante che trasmuta in divenire nella lirica, fluida e
ritmicamente sostenuta “October 13th” brano dalla struttura
tipicamente jazz con esposizione del tema, improvvisazione e ripresa
del tema. Poi è “Campane” a sorprendermi, un'apoteosi tra
musicista e strumento tra svariate mutazioni di umori e ritmi,
dall'etnico al jazz più avanzato. E come non citare la ricerca di
timbri e suoni sperimentali di “Trumpeting and Dance” e così
fino alla fine non si riesce a rimanere insensibili ad un'opera
veramente riuscita e straordinariamente interessante.
In definitiva questo
lavoro di Roberto Bonati si colloca tra i migliori album fin qui prodotti, in europa ed oltre oceano, nel 2019.
Il chitarrista Bill Frisell ha coniugato nel tempo la sua espressività musicale in innumerevoli declinazioni cercando e trovando commistioni con vari generi ed oggi è certamente un'icona di grande riferimento per il jazz contemporaneo e non solo. In questi ultimi due anni il suo incontro con il giovane, ma ormai affermato contrabbassista, Thomas Morgan ci ha regalato due splendidi album, Small Town e questo Epistrofy, entrambi registrati dal vivo al Village Vanguard di New York nel marzo del 2016. Il primo uscito nel 2017, il secondo rilasciato in questo 2019 e di cui mi occupo qui di seguito.
Con una selezione di nove brani che mette insieme alcune ballads del pregiato songbook americano, noti standard del jazz, una perla dalla sua collaborazione con il batterista Paul Motian e la ripresa, come già era avvenuto in Small Town, di un brano tratto dalla colonna sonora della serie televisiva dedicata a James Bond, il duo Frisell / Morgan ci immettono in una dimensione intima e raffinata in cui ogni brano è cesellato con personalissima maestria e ricercatezza. Episodi sonori che il linguaggio delicato e l'esposizione analitica di ogni parte scritta o improvvisata, a secondo dei casi, rendono esclusivi. Dall'iniziale, a dir poco deliziosa "All in Fun" del 1939 a firma Jerome Kern, alla conclusiva gemma"In the Wee Small Hours of the Morning", scritta da David Mann nel 1955 per Frank Sinatra, è tutto un susseguirsi di fraseggi lirici, di dialoghi compiacenti, di invenzioni inedite nate tra le note risapute di questi classici senza tempo. In tutto questo Frisell e Morgan sanno dove incrociarsi, dove affiancarsi, dove l'uno andrà a chiudere la frase dell'altro. Tra inflessioni jazz, sconfinamenti blues, spruzzate di tex-mex e melodie incorniciate, eccoli portare in trionfo il medley "Wildwood Flower / Save The Last Dance For Me" inaspettato e godibile; l'estasi soprannaturale di "Mumbo Jumbo" pescata nel repertorio del trio Paul Motion, Joe Lovan, Bill Frisell, dove si va oltre ogni canone di risaputa musicalità e si celebra la grandezza del grande batterista; l'ebrezza nostalgica dell'indomabile Bond in "You Only Live Twice" e il fascino senza tempo di un classico di Billy Strayhorn prima di finire imbrigliati nella fitta ragnatela ritmica della title track o scoprire di essere preda dell'avvolgente feeling di "Pannonica".
C’è
una musicista unica nel panorama musicale contemporaneo con una ampia
visione del jazz che spesso travalica per invadere altri orizzonti
espressivi. E’ la pianista Satoko Fujii, sicuramente prolifica più
di quanto si possa immaginare, con le sue orchestra sparse in varie
parti del mondo, i diversi gruppi di cui è parte, il sodalizio con
Natsuki Tamura, suo compagno di vita e le collaborazioni più o meno
durature con vari musicisti. Lo scorso anno ha superato ogni
aspettativa realizzando un album al mese per dodici mesi e celebrando
in questo modo i suoi sessantanni.
Ad
oggi la sua vena espressiva non mostra segni di cedimento se è vero
che ha già pubblicato un nuovo album che, allo stesso modo della sua
prima uscita del 2018, è un lavoro in totale solitudine. Questo
recente Stone è però totalmente diverso dal solo
dello scorso anno che evidenziava la vena lirica della pianista
nipponica, è un album di ricerca, di approfondimento delle
potenzialità espressive del pianoforte. Un gioco di invenzioni
sonore, contaminando ogni parte dello strumento, generando un’
espressività che oltrepassa gli aspetti tradizionali e libera rumori
ambientali e inusuali, magari attraverso l’uso di vari oggetti che
nulla hanno a che vedere con uno strumento musicale.
E
allora accade che, ad esempio, la sua mano destra lavori sulla
tastiera e la sinistra si intrufoli fra le corde interne o viceversa.
Si inizia con “Obsius” minimalista, scarna e un po’ spettrale,
seguita da “Trachyte” un impulso ostinato come un pensiero fisso
e minimi segni di presenze umane. All’improvviso una parentesi
lirica “River Flow” che trascende la cruda e rumorosa realtà
della successiva “Lava” rumore di tuoni prima che giunga la
magia dei tasti bianchi e neri. E allora è una festa, un diluvio di
note, la materia è diventata arte. E ancora “Icy Wood” un
feedback, una nota, un fraseggio, un suono dal cuore dello strumento,
una melodia che prova a prendere vita e il pianoforte conquista la
scena. Sarà così fino alla fine, tra suoni distorti, ritorni al
minimalismo, rumori urbani e lampi di liricità.
Ed
è la sua arte, l’arte di una musicista, Satoko Fujii, che non pone
confini e limiti alla sua creatività, appassionata e determinata a
ricercare ogni possibile soluzione esplorativa del suono, della
composizione, dell’improvvisazione.