giovedì 26 dicembre 2013

Refraction – Breakin’ Glass

Trio 3 + Jason Moran

Intakt



Un incontro propizio nato attraverso una frequentazione durata una settimana al Birdland di New York, durante l’estate del 2012, che ha preceduto le sessioni d’incisione in studio che hanno dato poi vita a questo cd. E’ una ricorrente pratica, quella messa in atto dal Trio 3 formato da Oliver Lake ai sax, Reggie Workman al contrabbasso, Andrew Cyrille alla batteria che ama integrare il proprio combo, di volta in volta, con un pianista diverso come è accaduto già in passato. Tre musicisti di alta levatura, con solide esperienze nell’ambito di ensemble come il World Saxophone Quartet, di cui ha fatto parte Lake, mentre Workman ha suonato a fianco di Coltrane e Cyrille è stato per vari anni il batterista di Cecil Taylor. I tre incontrano in questa occasione Jason Moran, uno dei pianisti più qualificati fra le giovani leve, ormai asceso nell’olimpo dei grandi nomi del jazz contemporaneo, anche lui con un passato ( di studi) alla corte di Jaky Byard, Andrew Hill e Muhal Richard Abrams. Quindi le premesse per un incontro stellare, così come l’ho definito in un mio recente tweet, c’erano tutte e tali si confermano all’ascolto, grazie alle prerogative già conosciute del trio e alla duttilità ritmica e armonica di Moran. Dieci brani, in tutto, che vengono dalla fertile vena compositiva di ognuno dei quattro protagonisti, per un mix di umori vari sui quali influiscono in modo determinante le già note dinamiche free del trio, spesso stemperate da un’essenza ritmica prettamente soul come accade in “Cicle III” seconda traccia, preceduta dal funk-rap dal quale prende il titolo l’album. I primi vagiti free si delineano in “Luthers Lament” e trovano piena espressività in “Summit Conference” impreziosito dai soli di Lake e Moran e dall’intervento all’archetto di Workman. Ad impressionarmi, per intensità e introspezione,  è poi “Foot Under Foot” caratterizzata da sfaccettare free, mitigate da fraseggi armonici di sax e pianoforte. Firmata da Moran, con un intro indefinito, il brano prende vita in crescendo grazie ad ampi spazi riservati all’improvvisazione e ad una esplosione ritmica finale. Un album che esibisce un interplay vibrante e partecipato  da tutti i suoi protagonisti e che sa mitigare furori free e armonie ricercate.


lunedì 23 dicembre 2013

Hammered

Ches Smith and These Arches

Clean Feed



Provate a pensare un combo jazz guidato da un giovane batterista, al momento una vera e propria rivelazione, completato da due sassofonisti di gran pregio che amano osare, uno all’alto, l’altro al tenore, una giovane chitarrista e una fisarmonicista. Non ci vuole molto ad individuare i These Arches di Ches Smith con Tim Berne, Tony Malaby, Mary Halvorson e Andrea Parkins. Una formazione stellare per una miscela esplosiva di suoni e ritmiche. Un cd che si apre con un ventaglio di sonorità di forte intensità, stridenti e frantumate che preludono ad un riff, che a sorpresa, introduce un’atmosfera gioiosa grazie all’eloquio popolaresco della fisarmonica della Parkins. Si chiama “Frisner” scritta da Smith, come tutti i brani dell’album e riferita a Frisner Augustin batterista haitiano che fu tra i suoi insegnati. Un brano che nel suo svolgersi subisce varie mutazioni, perché all’interno dei sette minuti e poco più che ne esplicano i vari ambiti si va incontro a sorprendenti sussulti ritmici e sonori. Il quintetto infatti non si risparmia e non limita escursioni ridondanti in territori come il free ed oltre il genere jazz, puntando con disinvoltura e maestria a contaminarsi con il rock. In tutto questo si apprezzano le escursioni fiatistiche della coppia Malaby-Berne, le invenzioni acute e imprevedibili della Halvorson e l’alone sottilmente world insito negli interventi della Parkins. Aspetti che si riscontrano anche nella successiva traccia, chiaramente dedicata a Phillip Wilson, batterista dell’Art Ensemble of Chicago dal 1967 al 1969, ma anche nelle tracce seguenti come l’avvolgente brano che da il titolo all’album dove convivono meravigliosamente i già citati elementi di stampo rockeggiante e si riscontrano dinamiche world all’improvviso stemperate da fredde correnti avanguardistiche. Splendido qui, come peraltro in tutti gli otto episodi dell’album, il drumming del leader, variegato, pulsante, estroso ma terribilmente efficace. Non ho ancora deciso se stilerò per voi, fra pochi giorni, una classifica delle migliori produzioni di questo 2013, ma so per certo che questa di Smith e These Arches è una di queste.


sabato 21 dicembre 2013

Book of Three Continuum (2012)

Taylor Ho Bynum
John Hébert
Gerald Cleaver

Relative Pitch


Dopo esserne stato allievo oggi il trombettista e cornettista Taylor Ho Bynum è uno dei musicisti fissi negli ensemble del grande Anthony Braxton, ma la sua attività si esplica notevolmente anche all'infuori dell'ambito relativo al sassofonista chicagoano. Uno dei suoi progetti più riusciti è di certo questo Book of Three Continuum 2012 in compagnia di John Hébert al contrabbasso e dell'onnipresente Gerald Cleaver alla batteria. Un progetto tutto da scoprire e da gustare che si delinea in fitto rapporto interattivo fra tre musicisti che condividono insieme percorsi libertari e stimoli innovativi. Ma il tratto caratterizzante di questo progetto, già arrivato alla sua seconda emissione,  è il climax rarefatto, nebbioso e soffuso insito nell'interplay fra i tre. Se poi non ci dimentichiamo (impossibile che accada) delle loro esclusive peculiarità tecniche e artistiche preponderanti, allora dobbiamo prendere atto che ci ritroviamo di fronte ad una produzione di rilievo già in circolazione dai primi mesi di questo 2013 oramai emanante i suoi ultimi vagiti vitali. Ho Bynum è oggi un musicista oramai maturo con un bagaglio espressivo, variegato e bizzarro, dotato di una ispirata creatività artistica esorbitante; Hébert dal canto suo è  apprezzato e richiesto in vari ambiti, un musicista che ha già dato prova anche delle sue capacità creative con vari album a suo nome tra i quali vorrei segnalarvi  Byzantine Monkey  non a caso recensito in questo blog. Anche qui il suo ruolo è fondamentale, quasi un collante tra quelle che io ho sempre definito elucubrazioni sonore, riferendomi ai sollazzi imprevedibili di Ho Bynum, e le preziose e sempre attinenti ritmiche percussive di Cleaver, a mio parere un indiscutibile maestro della batteria. Il cd si apre all’insegna di un godibile umore free bop di cui è fortemente impinguata la “Comin’ On” di Bobby Bradford seguita da “Aware of Vacuity” firmata da Jim Hobbs che scopre la sua essenza, ipnotica e quasi danzante, custodita al suo interno e cellophanata in trame esplorative tra free e avanguardia. Da qui in avanti, per le rimanenti cinque tracce, vanno segnalate “Henry” firmata da Cleaver, un brano dalla struttura ballad e dalla ritmica propulsiva e quella contrappuntata, a tratti tribale di “Jamila” cavalcata con variegata espressività da Ho Bynum. Quando arrivano le dilaganti dinamiche free di “Jornal Square Complication” impinguate dalla loquacità cangiante della cornetta, si ha la certezza del valore accertato di questa produzione, sulla quale non potevo sottacere malgrado il ritardo con cui me ne sto occupando.

domenica 15 dicembre 2013

OST Quartet

Nico Soffiato

Setola di Maiale


Tempi propizi per una rivalutazione dello strumento chitarra in ambito jazz. La triste notizia della morte di Jim Hall, avvenuta qualche giorno fa, ci ricorda il ruolo importante che questo musicista ha saputo riservare a questo strumento, un layout personalissimo e quindi inconfondibile, che fa parte della storia del jazz. Non è stato il solo, certamente non vanno dimenticati altri esponenti che fanno parte della tradizione o che hanno saputo proprio con la chitarra contaminare l’espressività jazz. Arrivando alla contemporaneità la rivalutazione della sei corde elettrica passa inevitabilmente attraverso la figura e la classe della giovane Mary Halvorson che ha saputo coniare per il suo strumento, la chitarra, un ruolo così fondamentale e specifico per un jazz certamente impinguato di elementi rockeggianti ma dotato di un alone innovativo che affascina. Sulla sei corde si è poi lavorato ampliandone le caratteristiche originarie per farne una chitarra preparata, capace di esprimere sonorità inedite ed esclusive. Ed è proprio con una chitarra preparata che si propone Nico Soffiato, italiano, da anni residente a Brooklyn, compositore e didatta, laureato in filosofia all’Università di Padova con una tesi sull’ontologia della musica, ha successivamente frequentato a Boston il Berklee Music College. Questo cd è una tappa del suo percorso con l’OST Quartet che include Eli Asher, tromba, slide tromba e percussioni; Greg Chudzik, contrabbasso e Devin Gray, batteria e percussioni. Un progetto totalmente direzionato verso un’espressività free, estemporanea e su un ambito sonoro assolutamente acustico dove nulla è preordinato, nemmeno un elementare riff è stato scritto, come afferma Soffiato nelle note di presentazione del progetto OST, acronimo che sta per Original Sound Track. Questo perché il chitarrista ha immaginato un ipotetico film e su questa idea ha plasmato gli obiettivi e indicato ai suoi musicisti i percorsi su cui orientarsi. Il resto è avvento in sala d’incisione attraverso una performance registrata in presa diretta, in cui il quartetto si è rilevato come un’entità perfettamente coesa. “Following” è la traccia iniziale ed esplicativa di tutto ciò che evolverà nell’arco delle undici composizioni, i quattro musicisti appaiono allineati come ad un nastro di partenza per dare vita ad un fitto interplay che già nella successiva “Deep Staging” mostra i suoi principali elementi espressivi, ovvero: toni cupi e nervosi, una dilagante frenesia che da qui in avanti muterà in un dialogo rarefatto, intriso di un minimalismo che unisce soffusi eloqui sonori e ritmici. Un solo di batteria è l’essenza esclusiva che prelude a “Jump Cut” brano di autentica apoteosi free dirompente e totalmente partecipato, dove alle tensioni ritmiche della coppia Chudzik-Gray si contrappone lo spigoloso incedere di tromba e chitarra. Le carte si mescolano in “Rack Focus” con l’intro di tromba e contrabbasso, suonato con l’archetto, che introduce un climax cameristico d’avanguardia impinguato di forti umori free, prima di due tracce “It Might Hapen To Me” e “Bass - Solo” ad appannaggio esclusivo rispettivamente di tromba e contrabbasso che conducono a “Montage” che ripropone ancora un’ interazione free giocata, in questo frangente, in un ambito più di ricerca. Soffiato e soci ci propongono un’album di forte impatto, dove ad una autentica componente free è associata una attività di ricerca che porta ad un tentativo di innovazione e di rilettura di un’espressività che in certe produzione mostra ampi segni di standardizzazione e stanchezza. L’obiettivo è centrato.... l’ascolto obbligato.