mercoledì 12 novembre 2014

L’Uomo Poco Distante

Tony Cattano Ottetto

Fonterossa


Chi è l’uomo poco distante a cui allude il trombonista Tony Cattano nel titolo del suo nuovo album in ottetto? Le note del libretto accluso svelano il mistero: l’uomo poco distante è quello che nei cortei funebri non si integra mai con gli altri, apparentemente distaccato, legato per chissà quale motivo al defunto partecipa al corteo da una certa distanza. A questa figura Cattano si è ispirato nel comporre le nove tracce di questo cd, ricordando i suoi trascorsi giovanili di musicista nella banda della città natale, Carlentini, ad accompagnare cortei funebri e processioni religiose. Di quella Sicilia di cui ancora oggi conserva memorie e tradizioni Cattano ripropone suoni, immagini ed atmosfere metabolizzati all’interno di un linguaggio che guarda ampiamente oltre il contesto del jazz, inglobando certamente elementi riconducibili alla musica per banda. Nel contempo, rilevo, nella scrittura di del trombonista siciliano frammenti del linguaggio di Bill Dixon. Toni gravi e pieni orchestrali sono aspetti che sembrano ricondurmi al grande musicista americano.  E poi anche la configurazione dell’ottetto, dove accanto al trombonista ritroviamo il fratello Carlo Cattano, flauti e sax soprano; Marco Colonna, clarinetti; Beppe Scardino sax baritono e clarinetto basso; Pasquale Mirra, vibrafono; Giacomo Ancillotto, chitarra; Roberto Raciti, contrabbasso; Daniele Paoletti, batteria, ricorda per certi versi i contesti dixoniani. Solo semplici osservazioni le mie, le distanze (per rimanere in tema) con l’universo del grande maestro americano sono notevoli e lungi da me volerli abbattere con i rilievi di cui sopra. Vado invece a ribadire l’identità ben definita dell’opera di Cattano e soci, che brilla di grande originalità e che pesca anche nel filone popolare della nostra tradizione musicale, densa com’è di risvolti melodici, che approda spesso in ambiti cameristici, che sa essere viscerale ed intensa nei suoi mutamenti ricorrenti. Per averne prova basta ascoltare la traccia che titola l’album, nebbiosa, avvolgente, ricca di umori blues, preda di un intreccio di suoni e dinamiche espressive in continuo crescendo. E che dire di “Cammino Sognante” che dopo l’intro bandistico lascia spazio ad un dialogo soffuso, intimo, tra contrabbasso e flauto, allargato, passo dopo passo, al contributo degli altri. E ancora: la struggente melodia di “Canto D’Addio” e l’umore popolaresco di “Repiti” che precede “Settembre” episodio articolato, tra i migliori di un album assolutamente irrinunciabile. 

lunedì 10 novembre 2014

High / Red / Center

Jason Roebke Octet 

Delmark


E’ dalla scena jazz di Chicago che arriva l’ottetto che firma questo spumeggiante cd. A coordinarlo è il contrabbassista Jason Roebke ormai integratosi nella città del vento da almeno quindici anni. Accanto a lui sette musicisti che operano nel medesimo contesto del leader: Greg Ward, sax alto; Keefe Jackson, sax tenore; Jason Stein, clarinetto basso; Josh Berman, cornetta; Jeb Bishop, trombone; Jason Adasiewicz, vibrafono; Mike Reed, batteria. Undici le composizioni scritte da Roebke per l’occasione, opportunamente pensate per la specifica struttura dell’ensemble che come è evidente si avvale di una robusta sezione di fiati e di una sezione ritmica arricchita dalla presenza  di uno strumento particolarmente caratterizzante come il vibrafono. La title track che apre l’album è fluida e riserva, tra incursioni bop, umori funky ed echi di swing, una parentesi riflessiva, per un articolato solo di sax  e di interazioni in duo o in trio, all’interno del suo svolgimento per poi chiudersi così come aveva iniziato. La successiva “Slow” sembra giocata in un contesto di libertà alla ricerca però di assonanze e convergenze comuni, mentre “Blues” propone, su un mood piatto ed ostinato, un crescendo armonico sempre più definito e in divenire. Poi le rassicuranti e armoniosi ondeggiamenti di “Dirty Cheap” e lo scintillante funkeggiare di “No Passengers” mentre quando già ci si avvia alla conclusione arriva in penultima traccia “Shadow” intrisa fino in fondo di essenze ellingtoniane. Tra passato e presente, rimandi alla tradizione e stimoli innovativi, si delinea una produzione certamente di rilievo.

Giuseppe Mavilla