sabato 30 aprile 2011

Byzantine Monkey

John Hébert

Firehouse 12 Records
Ha dentro il seme della tradizione musicale della Louisiana questo cd del contrabbassista John Hébert inciso in compagnia di Tony Malaby, sax tenore e soprano, Michael Attias.contralto e baritono, Adam Kolker, flauti e clarone, Nasheet Waits, batteria e Satoshi Takeishi, percussioni. Se ne ha prova in apertura della prima traccia “La Reine de la salle” quando ad un sampler tradizionale cajun si affianca l’improvvisazione del leader al contrabbasso, prima che un riff di fiati e percussioni trasmuti l’atmosfera verso territori free seppur velati di accenni world. Prende il via da qui l’avventura di Hébert che riserva stimolanti ambientazioni sonore come in "Acrid Landscape" composizione articolata con un tema avvolgente e sviluppo in totale libertà. "Run for the Hills” evidenzia invece un’architettura a stadi evolutivi: introdotta con toni classicheggianti dai tre fiati e liberata attraverso un duetto tra contrabbasso e percussioni che prelude al completo coinvolgimento di tutto il gruppo. Non mancano delicate ballate come “Ciao Monkey”, dai fraseggi danzanti densi di liricità ed  un emozionante omaggio, “For A.H.”, al grande Andrew Hill il cui spirito sembra aleggiare qua e là tra i dieci brani della selezione. Un’infinità di sorprese che si dispiegano ascolto dopo ascolto. 

giovedì 28 aprile 2011

Ways & Means

James Carney Group

Songlines
Il pianista James Carney sembra particolarmente attratto dagli spunti ispirativi che un rapporto jazz-immagini può suscitare. Nel 2006, nell’ambito dell’International Film Festival di Syracuse, sua città natìa nello stato di New York, musicò, con lusinghieri risultati, un film muto di Edward Slogan datato 1925. Con questo recente cd, in formato SACD ibrido, va oltre e realizza una virtuale colonna sonora per delle immagini inesistenti. Su commissione della Chamber Music America e della Boris Duke Charitable Foundation, Carney propone sei composizione originali a sua firma e tre libere improvvisazioni accreditabili all’intero gruppo che lo affianca: Peter Epstain e Tony Malaby sax; Ralph Alessi tromba; Josh Roseman trombone; Chris Lightcap contrabbasso; Mark Ferber drums. Scrittura e improvvisazione secondo i canoni cinematografici ma senza i tempi e i limiti che questi impongono. Nel prezioso calderone di situazioni scopriamo: swinganti dialoghi, lampi di free, spruzzate di cool e avvolgenti blues. Mettetevi comodi e chiudete gli occhi.

 Giuseppe Mavilla 

mercoledì 27 aprile 2011

Eternal Interlude

John Hollenbeck Large Ensemble

Sunnyside Records
Non sbaglia un colpo il percussionista John Hollenbeck, la sua attività discografica risulta sempre più prolifica e aperta su vari fronti. Questo cd documenta un’altra incisione con un large ensemble, in cui si ritrovano tra i nomi eccellenti, ma anche più noti: Tony Malaby ed Ellery Eskelin ai fiati, Guy Versace, tastiere, Kermit Driscoll al contrabbasso e Theo Bleckmann alla voce. Ma l’orchestra consta di venti elementi oltre al leader, e gli ambiti espressivi sono ampi e senza distinguo: dalla classica al jazz attraverso un ipotetico percorso in divenire. Un sorta di componimento sonoro dove nulla è lasciato al caso e niente è inutile, in assoluta coerenza tra le parti. Hollenbeck si rivela ancora una volta un vulcano di idee, una fonte di invenzioni che metabolizzano una miriade di stili. Nelle sei composizioni, di cui ben cinque commissionate da altrettanti istituzioni musicali internazionali, si ritrovano passaggi eterei, dialoghi interattivi, oasi di profonda liricità, energiche schizofrenie. Il brano che titola il cd ne è l’esempio più illuminante ma le frenesie ritmiche di “Guarana”  o il soffuso fischiettio di un improvvisato coro in “The Cloud”, danno l’idea di quanto siano infinite le latitudini in cui l’estro di Hollenbeck arriva ad espandersi. 

Un must firmato Satoko Fujii

Summer Suite

Satoko Fujii Orchestra New York

Libra Records
Dopo il trio ecco l’orchestra di New York, un altro dei tanti ambiti in cui si muove la pianista Satoko Fujii. Siamo in piena downtown  e nelle file di quella che è solo una delle quattro orchestre da lei dirette (Kobe, Nagoya e Tokio, le altre) si scoprono fior di musicisti dalla fervida attività e dagli umori musicali fortemente liberi. Alcuni nomi: Oscar Noriega, Briggan Krauss, Ellery Eskelin e Toni Malaby ai sax, l’onnipresente Tamura con Herb Robertson e Steve Bernstein alle trombe, Joe Fielder ai tromboni. Una sezione di fiati vibrante dal  un suono vigoroso e potente irrorato da una sezione ritmica composta da Stomu Takeishi al basso e Aaron Alexander alla batteria. L’introduzione della prima traccia, l’estesa Summer Suite, dà l’idea di ciò che riserva l’ascolto dell’intero cd, ovvero, una spumeggiante big band  che metabolizza, fra temi e improvvisazione, in tre composizioni originali, anche queste a firma Fujii, fermenti free, riff swinganti da grandi orchestre del passato e sofisticati impasti sonori da cui si dipanano improvvise intrusioni boppistiche. Il tutto ottimamente condensato da Saboto Fujii in una miscela esplosiva dove si ritrovano calibrate, con acume,  rispetto per la tradizione e fremente voglia d’innovazione.


Chun

Natsuki Tanura – Satoko Fujii

Libra Records
In duo con l’inseparabile trombettista Natsuki Tamura, la pianista Satoko Fujii confeziona un’altra produzione discografica che le dà modo di spaziare su vasti territori musicali che inglobano un’espressività complessa e non etichettabile. Prevale la componente jazz rilevabile nell’inventiva e nello stretto interplay tra i due, quando le trame musicali li vedono rincorrersi o sovrapporre all’unisono i suoni dei loro strumenti; si scorge il tratto d’avanguardia attraverso un pianismo maestoso e le dissonanti sfumature della tromba.
Inaspettato arriva anche lo sconfinamento nella musica classica evidenziabile in taluni passaggi o fraseggi caratterizzati, paradossalmente, da una sorta di romanticismo e non manca nemmeno la parentesi sperimentale, esigua, ma decisamente votata a fughe rumorose. E’ in definitiva un grande affresco sonoro con due musicisti che nella loro solitudine appaiono avvinghiati in un connubio forte e consolidato, interpreti di un gioco musicale fatto di incastri e rimandi che la Fujii conduce dall’alto di una personalità artistica non comune, sue le nove composizioni che ispirano ed esaltano Tamura. Un gioco che trova naturale sublimazione nella conclusiva “Triangle”, ventidue minuti di pura ebbrezza sonora.


Giuseppe Mavilla





 Chi sono?
        

Un appassionato ascoltatore di jazz, ma anche un critico del settore perché ormai da anni scrivo su varie testate.
Sono socio della Sidma (Società Italiana di Musicologia Afroamericana) per la quale ho realizzato, su incarico dell’Istituto Verga di Modica,il progetto “Jazz…le note inarrestabili”.

Per professione?

Mi occupo di informatica presso un ente pubblico

Le mie letture?

Tutto ciò che riguarda il jazz, l’attualità e la filosofia.

I miei contributi scritti?

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Sided Silver Solid

Carl Maguire’s Floriculture
Firehouse12 Records
E’ complessa e sofisticata la materia prima di questo cd: jazz moderno dalle strutture articolate e dalle ampie dinamiche racchiuse in sette composizioni del pianista Carl Maguire, nativo del Wisconsin nella cui Università ha studiato improvvisazione con Roscoe Mitchell. Oggi vive a New York e questa è la seconda produzione discografica del suo Floriculture, ora in quintetto con Oscar Noriega clarinetti e sax alto, Stefanie Griffin viola, John Hebert contrabbasso e Dan Weiss batteria. Determinante la presenza dei primi due perché  fiati e  viola sono gli elementi che ne caratterizzano maggiormente il suono e le atmosfere. Quando è al clarinetto Noriega trova spesso un’assonanza nella viola della Griffin così da sprigionare un alone  cameristico e drammatico. Si muovono in simbiosi i due e appaino vincolati da un esclusivo dialogo anche nelle parti improvvisate dove la Griffin non lesina sonorità aspre e lancinanti. Maguire al pianoforte da l’idea di possedere un tocco personalissimo che sintetizza insieme elementi classici e jazz sorprendendo al piano elettrico in “Basic Botany” dove la pregevole sezione ritmica Herbet-Waiss si ritaglia un breve ma gustosissimo dialogo a due. Un cd che si rivela ascolto dopo ascolto attraverso sinuosi fraseggi  e spigolature corroboranti.


martedì 26 aprile 2011

Voladores

Tony Malaby’s Apparitions
 Cleen Feed Records






Il sassofonista Tony Malaby ripropone il suo quartetto “Apparitions” con Drew Gress al contrabbasso, Tom Rainey alla batteria e John Hollenbeck, sostituto di Michael Sarin, alle percussioni. Sei composizioni originali a firma del leader, tre improvvisazioni di gruppo e la ripresa di un brano di Ornette Coleman, “Homogenus Emotion”, mai inciso dall’autore, per un cd che prende il nome da una singolare danza della tradizione popolare messicana. Una conferma per Malaby sempre più prolifico e presente sulla scena newyorkese anche perché  richiesto in molte produzione altrui. Nel contesto in oggetto si evidenzia una volta di più il fraseggio vibrante e avvolgente, ossessivo e generoso del sassofonista. Una forza propulsiva che alcune volte assume le sembianze di un lamento introspettivo, intriso di spiritualità coltraniana, e altre volte calca territori di ricerca, come in “East Bay”, mentre nella conclusiva “Lilas” assume toni lirici e sinuosità world. Più che appropriato il drumming nervoso di Rainey e l’esotismo colorato dell’ampio catalogo strumentale di Hollenbeck nonchè il tratto raffinato, mai a corto della componente armonica, di Gress: l’intuizione geniale che non poteva mancare a fianco di Malaby.  Un mosaico quadrangolare argutamente pensato e magnificamente riuscito.   



(un)sentimental

The Thirteenth Assembly

Important Music

Una breve e sghemba ballata non a caso definita “Unfinished Ballad” apre questa succinta, poco più di 37 minuti, ma inaspettata produzione discografica che unisce alcuni degli esponenti più giovani ed eclettici della scena jazz newyorkese. Ognuno di loro ha già avuto più di una occasione per confrontarsi con l’altro, con chi adesso è al suo fianco a condividere questa esperienza. Qualcuno si porta dietro referenze importanti, come il cornettista Taylor Ho Bynum, referenze che di certo bada bene a non far pesare sul talento di musicisti come: Jessica Pavone, violino, Mary Harvolson, chitarra e Tomas Fujiwara, batteria. Qui tutti insiemi costruiscono una sorta di mosaico dagli incastri perfetti delineando un microcosmo sonoro piacevolmente indefinibile. Creatività e ironia, improvvisazione e perfino qualche ballata struggente dove elementi propri di vari linguaggi musicali risultano appena captabili perché metabolizzati attraverso una dialettica d’avanguardia che delimita, con appropriato acume, anche i ruoli di ognuno. Badano bene a non strafare o annoiare pur non rinunciando ad esibire le singolari peculiarità che li accostano ai loro strumenti e che ne fanno musicisti inconfondibili e sicure certezze per il futuro del jazz contemporaneo.

Less is more

Who Trio

Cleen Feed

Non ci sono fragori tra i solchi di questo cd, l’interazione tra il pianista Michel Wintsch, il contrabbassista Bänz Oester e il batterista Gerry Hemingway si realizza per buona parte all’insegna dell’introspezione e del minimalismo. Un lessico sussurrato che ricorda in taluni passaggi atmosfere di jarrettiana memoria e che in diversi episodi oltrepassa i confini della musica afroamericana. Tutto appare avvolto nell’aurea di un infinito sonoro velato e inafferrabile, dove il dialogo fra i tre protagonisti si incunea alternando fraseggi di elegante melodia a sottili tensioni che nervosamente pervadono taluni brani. Tutto rimane sospeso in un non svolgersi, in una incertezza indefinita. Profondo e raffinato il pianismo dello svizzero Wintsch, inevitabilmente intriso di cultura europea, in special modo nella prima parte di “Wedding Suite”. Accanto il delicato ma ricco percussionismo di Hemingway e  l’incedere incisivo e preciso del  contrabbasso di Oester. Appaiono distaccati protagonisti con nonchalance di un gioco fatto di suggerimenti e di accenni con il quale sembrano trascendere la realtà, immersi in un interplay denso d’intimità che incanta e trasporta. Viaggiamo con loro nell’incertezza di una idealità sonora fuggevole ma per una volta magicamente reale.  


Quartet (Moscow) 2008

Anthony Braxton

Leo Records


Evolve in quartetto il Diamond Curtain Wall Trio del sassofonista Anthony Braxton che aggiunge Katherine Young al fagotto ai già acclusi Taylor Ho Bynum ai fiati e Mary Harvolson alla chitarra. Tutti rigorosamente allievi del grande maestro ed impegnati in un percorso dagli orizzonti più ampi, rispetto all’esperienza della Gost Trance Music, in cui si evidenzia l’uso di un laptop e del software Super-Collider.
La registrazione, dal vivo a Mosca nel luglio 2008, si snoda attraverso due composizioni la “367B” ed “Encore” ma l’essenza dell’opera è tutta racchiusa nella prima delle due, settanta minuti in cui il quartetto avvolge il suono sintetico del quinto elemento, a volte sottilmente velato altre volte stridente e incalzante, in un vortice di musica in continua ebollizione. Non mancano  momenti di distensione mai avulsi e impropri nelle dinamiche variabili della DCWM. Le  incursioni del vasto campionario di fiati che la coppia Braxton-Ho Bynum mette in campo si caratterizzano per le innumerevoli variazioni tonali e ritmiche, contrappuntati dagli interventi cameristici della Young e dal trasversalismo chitarristico della Harlvorson. Ma ciò che più sorprende è come il quartetto riesce a celare l’elemento informatico tra le pieghe di una tangibile fisicità sonora. 
  
 Giuseppe Mavilla