martedì 30 agosto 2011

(Put Your) Hands Together

Nate Wooley Quintet

 Clean Feed Records
Il trombettista Nate Wooley stempera i suoi bollori di stampo downtown ripiegando su un post bop di esclusiva eleganza e raffinatezza in questo cd ispirato alle donne che hanno in qualche modo condizionato la sua vita. Inciso per la portoghese Clean Feed in compagnia di Josh Sinton, clarinetto basso, Matt Moran, vibrafono, Eivind Opsvik, contrabbasso e Harris Eisenstadt, batteria. L’ascolto ci restituisce un jazz moderno dove convive un’estetica cool e dove il leader, spalleggiato da Sinton, non rinuncia comunque a piazzare i suoi strali d’avanguardia esplicati attraverso una sorta di sconfinamenti timbrici su tonalità aspre e graffianti a conferma che Wooley non nutre alcun ripensamento relativamente alle sue precedenti esperienze. I dieci brani evidenziano una struttura ben definita e in molti casi pregevolmente articolata e ricercata. L’elemento vincente per l’intera produzione è l’anello di giunzione tra passato e presente delineato con opportuno equilibrio. I fiati di Wooley e Sinton, tromba e clarinetto basso, sembrano danzare, con sottile eleganza, sul front-line mentre la sezione ritmica rende fluide le dinamiche e il vibrafono di Moran ingentilisce il suono arricchendo l’espressività del combo. Ma chi sono queste donne così importanti nella vita di Wooley? Il trombettista sembra abbia rivelato in una recente intervista che si tratta della moglie, della mamma, della nonna e delle zie aggiungendo che hanno elevato la sua vita. Questi i soggetti ispiratori di buona parte delle dieci tracce contenute nel cd titolate con nomi di donne: “Shanda Lea” su tutte, proposta in apertura e in chiusura per sola tromba e tromba con sordina e nella parte centrale con tutto il gruppo, scandita da un eccellente e improvvisato dialogo tra i due fiati. E ancora la snella, anche se di ampia durata, poco più di nove minuti, nonché sofisticata, “Cecelia” introdotta dal fraseggio iniziale di tromba e clarinetto, poi dilatata per qualche minuto dalla ritmica della band con in primo piano il vibrafono di Moran. A seguire l’intima “Pearl” con Moran in primo piano, quasi una ninna nanna in chiave jazz, la boppistica “Elsa”  e la danzante “Hazel”. Godibile! 




mercoledì 24 agosto 2011

Calma Gente

Rob Mazurek

 Submarine Records
Esotico, fresco, avvolgente, struggente, fluido, etereo… queste le prime definizioni che mi vengono in mente così di botto appena provo a mettere su la recensione di questo cd dalla sobria copertina, che diffonde un qualcosa di unico, di naturale, insomma qualcosa che ben presto affascina fin dal primo ascolto. Un’intensa cascata di suoni e ritmi concepita dal trombettista Rob Mazurek, ritratto in copertina con spessi occhiali da sole, uno degli esponenti della Explonding Star Orchestra, ensemble vicino al compianto Bill Dixon. Uno dei musicisti americani più impegnati nella ricerca di un jazz moderno originale e innovativo. Questa sua recente realizzazione nasce in Brasile dove Mazurek possiede una residenza e costituisce una sorta di diversivo alle ricercate e avanguardistiche produzioni con l’Orchestra. Una mistura dove comunque trovano spazio i frutti di questa sua ricerca, una miriade di elementi che vanno dall’avanguardia all’etnico. Un viaggio attraverso le nove composizioni  come in una ipotetica giungla tecnologica dove si intersecano e convivono sonorità elettroniche ed acustiche. Artefici di questo lavoro sono anche alcuni dei componenti l’Explonding Star Orchestra: Jason Adasiewicz, vibrafono, Nicole Mitchell, alto flauto, Matt Bauder, clarinetto basso, Josh Abrams, basso, Mike Reed, percussioni. A loro si sono uniti altri musicisti brasiliani come Kiko Dinucci, chitarrista e songwriter.
Emozioni a iosa durante l’ascolto che già raggiunge livelli coinvolgenti con la lunga e ipnotica “The Passion of Yang Kwei-Fe”, un pout-pourri di musica ambient intrisa di ritmi variopinti, di una suadente melodia di cui è artefice la tromba di Mazurek contrappuntata al flauto da Nicole Mitchell.
Tre solchi più avanti troviamo la delicata e triste “Flow My Tears and Last Forever” una ballata in duo, chitarra acustica e tromba, di straordinaria bellezza. In chiusura “Flamingos Dancing On The Rings of Saturn” titolo che disegna un’ immaginaria visione di una danza sospesa nello spazio che il lungo solo di Adasiewicz,  al vibrafono, rende palpabile. Questi gli episodi più significativi di un cd impossibile da etichettare così denso di essenza musicale da lasciare stupefatti e che non evidenzia cadute di tono in nessuna delle nove tracce in esso contenute. Un cd pensato solo per il mercato discografico brasiliano e per quello giapponese e quindi apparentemente non di facile reperibilità. Tutto può essere risolto con un pizzico di pazienza perché potete acquistarlo andando sul sito della Submarine Records e da lì riceverete le opportune istruzioni per la relativa procedura d’acquisto. Ne vale la pena. Un must!


Rob Mazurek / Calma Gente 2010.09.15 on Sale by catunerecords

 

lunedì 22 agosto 2011

(Town Hall) 1972

Anthony Braxton
Trio & Quintet

 Hatology
Dopo essermi occupato della ristampa del prezioso “Intets and Purposes” di Bill Dixon rimango in tema di riedizioni con un altro album importante firmato questa volta dal grande Anthony Braxton, un album registrato nel 1972 e inizialmente pubblicato in Giappone in formato LP dalla Trio Pa Records. L’album fu poi  proposto in Eurora in prima edizione nel 1992 dalla Hat Art e riproposto in ristampa, dopo un remix nel 2010, dalla svizzera Hatology agli inizi di quest’anno. Una delle tante perle della discografia del sassofonista di Chicago registrato dal vivo in un locale storico per il jazz di tutti i tempi: il Town Hall di New York. Una session del 22 maggio del 1972  divisa a metà tra due formazioni diverse un trio e un quintetto per un totale di quattro brani. Nella prima parte è protagonista il trio e accanto a Braxton troviamo il contrabbasista Dave Holland e il batterista Philip Wilson. L’apertura è contraddistinta da una certa frenesia ritmica, alimentata con nerbo e inarrestabile continuità dalla coppia Holland-Wilson. Su cotanto brusio ritmico Braxton si lancia dirompente e determinato con un ampio campionario lessicale che inonda la struttura primaria (n) della “Composition 6”. E’ incontenibile il sax-man di Chicago e torna spesso sulla frase del tema per poi riprendere le sue rincorse. La sezione (o) della “Composition 6” che in naturale divenire completa il primo brano esplica un’atmosfera meno impetuosa e dedita ad un dialogo più rarefatto e ricercato con Holland che impugna l’archetto. Il trio si congeda con una spumeggiante e originale versione della famosa “All the things you are” firmata da Jerome Kern introdotta da un solo di Wilson che precede l’inserimento di Holland e dello stesso Braxton che sembra aggredire la melodia base del brano prima di accennarne le frasi principali del tema e da lì liberare tutto il suo impeto improvvisativo. Per la seconda parte del cd è di scena il quintetto con Braxton affiancato ai fiati da John Stubblefield che si porta dietro anche un gong e delle percussioni. Holland rimane al contrabbasso mentre alla batteria siede Barry Altschul che opera anche alla marimba e a sopresa si aggiunge una vocalist di classe e di azzardo come Jeanne Lee. L’atmosfera torna a placarsi e il quintetto sembra avviato a plasmare una sintesi tra le diverse anime strumentali, un incastro pensato a dovere da Braxton in sede compositiva e magnificamente ricreato ma soprattutto arricchito grazie alla libertà dell’improvvisazione nella realtà del Town Hall. Braxton è ancora protagonista anche con il dialogo che instaura con Stubblefield e in questo ambito si inseriscono le gesta vocali della Lee: vocalizzi, scat e testi astratti che vanno a  integrarsi perfettamente nello sviluppo della performance in atto, divisa in due parti (PI e PII), della stessa “Composition 6”. In grande evidenza  il pregnante contributo di Holland, l’estro, accostato all’esclusiva attinenza, di Altschul e il variegato campionario di Stubblefield. Una riedizione che assume anche un importanza storica nella conoscenza dello sviluppo dell’opera Braxtoniana sicuramente irrinunciabile. Tra free e avanguardia.



martedì 2 agosto 2011

Intents and Purposes

The Bill Dixon Orchestra

 (RCA Victor) Dynagroove
Questa ristampa di un vinile della seconda metà degli anni sessanta è una delle operazioni culturalmente più utili per la diffusione della musica jazz. Un album tra i più importanti nella storia del jazz d’avanguardia che mancava nelle collezioni di molti appassionati che probabilmente, nell’attesa di una possibile riedizione, si saranno dimenati alla ricerca di qualche buon usato. Ora la che la ristampa è disponibile quale migliore occasione per apprezzare il musicista che né è autore, Bill Dixon, trombettista scomparso recentemente all’età di 84 anni, uno dei musicisti più innovativi nell’evoluzione della musica afroamericana. Attivo fino a pochi mesi prima della sua dipartita si è mosso attraverso una  specifica filosofia espressiva che ha travalicato il jazz andando ad arricchirsi con stilemi e strutture molto vicine alla musica classica e a quella contemporanea. In questo ambito l’elemento che ha poi caratterizzato la specificità del suo jazz è stato il fattore free tradotto attraverso il suo costante inserirsi, all’interno delle partiture, con fraseggi improvvisati dirompenti caratterizzati da toni taglienti su dinamiche e architetture per certi versi rigide e prestabilite. L’opera è caratterizzata da toni gravi e da un andamento drammatico in cui la configurazione dell’orchestra risulta determinante: con una sezione di fiati di 5 elementi, compreso lo stesso Dixon, un violoncello, due contrabbassisti, i noti Reggie Workman e Jim Garrison (peraltro affiancati nel primo brano “Metamorphosis”) e  una batteria. Nel concepimento di questo e dei rimanenti brani, tutti originali e tutti a firma dell’autore, è insita la cultura per l’arte, non solo musicale ma anche pittorica,  coltivata  da Dixon nella sua anima e nella sua mente. L’ album abbonda di trame  intense, travagliate, ricche di tensioni sonore e ritmiche, di pieni orchestrali ma anche di parentesi eteree in cui i fiati si intersecano avanzando e arretrando sul front-line, sempre e comunque in una atmosfera sospesa in un ipotetico equilibrio tra tensione ed emozione. Grande musica ancora oggi dopo oltre quarant’anni dal suo concepimento a dimostrazione della singolare levatura di compositore e musicista  di cui Dixon era dotato che ci aiuta a comprendere  l’assoluta validità di ogni opera che costella la sua ampia discografia  ma anche  l’improrogabile  opportunità, per ogni appassionato di jazz che ancora non lo abbia fatto, di scoprirne i dettagli.

Giuseppe Mavilla