mercoledì 18 gennaio 2012

Urban Fabula

Seby Burgio
Alberto Fidone
Peppe Tringali


Abeat Records


Un trio tutto siciliano quello che ha realizzato questo godibilissimo Urban Fabula: Seby Burgio al pianoforte, Alberto Fidone al contrabasso e Peppe Tringali alla batteria. Tre  musicisti che uniscono capacità strumentali ad una attitudine alla scrittura semplice ma articolata che da luogo a una manciata di composizioni che definiscono uno standard qualitativo veramente apprezzabile. Otto le composizioni originali, cinque scritte insieme dal trio, una in solitudine per ognuno dei tre. Completano la selezione due standard immortali per la storia del jazz: “Round Midnight” e “On Green Dolphin Street” di cui forse, a mio parere, si sarebbe potuto fare a meno vista il livello qualitativo delle composizioni originali e tenuto conto che si tratta di due standard già ampiamente ripresi.  In definitiva i dieci titoli tracciano un percorso variegato in cui risalta l’urgenza espressiva di Seby Bugio, pianista dotato di una tecnica superlativa, fulmineo nel tracciare geometrie vorticose sulla tastiera. Ma i suoi interventi in tutto il disco non sono solo dirompenti,  lui sa disegnare delicate melodie come in “Someday my prince will chat” cesellare contrappunti inappuntabili con il suo pianismo ricco di forza espressiva e frenesia. E’ una gran bella scoperta per chi come me non lo conosceva, tanto quanto Alberto Fidone contrabbassista elegante e discreto che ama usare l’archetto nei tratti più lirici di alcuni brani ma anche in altri ambiti come accade in “La Marcia dell’ultimo Moschettiere”. La sua cifra stilistica è pregevole per un’innata compostezza e relazione costante con il resto del trio. Equilibrato e puntuale con il suo drumming, Peppe Tringali completa il trio con un incedere brioso e un pizzico di fluorescenza grazie all’ampio uso dei piatti, ascoltatelo nell’intro di “Albori all’imbrunire”. Il trio predilige gli scatti brucianti, i cambi di ritmo, le brevi riflessioni, i temi sottilmente cantabili e non disdegna gli ostinati; gli otto brani originali sono un campionario di questi elementi, un hard bop europeo che oscilla fra tradizione e contemporaneità.






lunedì 16 gennaio 2012

Trés Cabeças Loucuras

São Paulo Underground

Cuneiform Records


Per nostra fortuna l’iperattività musicale di Rob Mazurek ha prodotto, almeno fino ad ora,  lavori di indubbia validità, vuoi per l’eclettismo che contraddistingue il trombettista e i musicisti che di volta in volta lo affiancano, vuoi per la capacità di proporsi in contesti sicuramente originali. Questo di cui ci occupiamo oggi è un’altra ventata di frizzante musicalità che si aggiunge, a quella espressa con il magnifico Calma Gente e come quest’ultimo nasce in quella che può definirsi la seconda patria per questo trombettista ovvero il Brasile. Ed è proprio con musicisti brasiliani, i São Paulo Underground, di cui lo stesso Mazurek è componente,  che è stato inciso l’album: Mauricio Takara,cavaquinho, batteria, percussioni, elettronica, voce; Guilherme Granado,  tastiere, loops, samplers, percussioni, voce; Richard Ribeiro, voce, batteria. A loro vanno aggiunti: Kiko Dinucci,  chitarra, voce; Jason Adasiewicz, vibrafono; John Herndon, batteria; Matthew Lux, basso. Gli ultimi tre presenti solo in alcuni brani, il loro coinvolgimento è il trait d’union con quanto viene prodotto da Mazurek a Chicago. Il cd appare percorso da una incalzante frenesia ritmica, Mazurek e l’entourage brasiliano definiscono un layout che unisce ritmo ed elettronica a  cui si aggiungono riff accattivanti di immediata assimilazione. All’ascolto si materializzano echi del grande Sun Ra e si rafforza la certezza che la costante attività di ricerca del trombettista chicagoiano unita ad una vena creativa esclusiva ne fanno uno dei paladini più interessanti del nuovo jazz. Ed ecco che all’ascolto fluiscono una dopo l’altra le accattivanti armonie ritmiche di “Jagoda’s Dream” e “Carambola”; le conturbanti atmosfere di “Colibri”; le ruvide sonorità di “Pigeon”; gli schiamazzi ritmici di “Just Lovin”. C’è un ampio uso di strumenti elettronici, di vocalità filtrate. La cornetta di Mazurek è protagonista in ogni ambito, ostinata nei riff, ma sempre illuminata da una singolare identità identificativa. Nel finale il combo decide di mettere da parte un po’ delle diavolerie elettroniche fin qui impiegate per dare spazio al vibrafono di Adasiewicz, alla batteria di Herndon e al basso elettrico di Lux ridefinendo  così un sound più americano con “Six Six Eight” e ribadendo che non si dorme sugli allori nemmeno nell’ambito dei  trentotto minuti e più di Trés Cabeças Loucuras.

martedì 10 gennaio 2012

The Throes

Nate Wooley + Taylor Ho Bynum


Cimp Records

Due trombettisti: Nate Wooley e Taylor Ho Bynum, quest’ultimo alla cornetta, sono i titolari di questo cd realizzato in quartetto con una sezione ritmica tra le meglio assortite: Ken Filiano, contrabbasso e Thomas Fujiwara batteria. Post bop, nello svolgersi delle dieci tracce di cui si compone l’opera, più volte trasmutante in free bop, un groove urbano da metropoli africana e una vocalità variegata, espressiva della personalità dei due protagonisti ai fiati. Entrambi prestigiosi, vincenti già nelle loro private produzioni, prolifici e aperti a linguaggi a volte anche esasperati, in prima linea nell’assegnare alle loro trombe ruoli portanti e ambiziosi senza dover ricorrere a scontate emulazioni. Wooley ama le ariosità definite nei suoi fraseggi ma non disdegna esagerare  con azzardi timbrici; Ho Bynum colleziona sonorità strascicate e ironiche, la sua cornetta a volte scoppietta a mo’ di pernacchia ma l’estro è grande e la visione, di un jazz d’avanguardia, immensa. Le sue frequentazioni dell’entourage di Braxton sono state fondamentali e hanno lasciato il segno. Se a due musicisti così fatti affianchi la sezione ritmica sopra descritta hai fatto centro: Ken Filiano ha mille frecce al suo arco, e la frase fatta mai come in questo caso è adeguata, dal suo contrabbasso promuove ritmo propulsivo ma quando impugna l’archetto denuncia i suoi trascorsi con il mastro Dixon ed eleva la scrittura e l’improvvisazione a livelli  eccelsi. E che dire di Thomas Fujiwara raffinato batterista di cui ho già scritto a proposito del suo Actionspeak i dettagli del suo drumming incantano. Varia l’entità della sua presenza sulla scena con grande sensibilità musicale. Basta ascoltare “Narrows”, una delle perle di quest’opera, per meravigliarsi dell’ingegno jazzistico dei quattro: ambiti cameristici e dialoghi free tra i due fiati, una sorta di narrazione sonora e interattiva dai mille intrecci. E poi “Ish” che inizia quasi fosse una nenia con i due fiati in corale e poi evolve inaspettatamente in una dirompente e frenetica improvvisazione. E come non citare i quattro duetti i cui ogni protagonista si produce a turno in un interplay esclusivo  con gli altri tre: totale libertà e piacevoli intuizioni.





lunedì 2 gennaio 2012

Winter Sun Crying

Composer in Dialogue
William Parker & ICI Ensemble

Neos Jazz


Muffathale di Monaco, 20 dicembre 2009 è in scena il progetto Winter Sun Crying composizione in dialogo tra un insieme di musicisti dell’avanguardia jazz. Protagonisti : William Parker, contrabbassista newyorkese, esponente di spicco della downtown e l’ICI Ensemble formazione europea che opera dal 1999 da sempre orientata alla stretta collaborazione con musicisti di primo piano nell’ambito dell’improvvisazione jazz. Quindici brani nella descrizione riportata sul retro della copertina per quella che di fatto è una suite di ben 62 minuti e 56 secondi interpretata da una band di 10 musicisti che comprende oltre al già citato Parker (double-bass, piccolo, trumpet, shakuhachi, double reeds) i teutonici: David Jager, soprano & tenor saxophones; Roger Jannotta, alto saxophone, piccolo, flute, clarinet; Markus Heinze, baritone & tenor saxophones; Christofer Varner, trombone, sampler; Martin Wolfrum, piano; Johanna Varner, cello; Gunnar Geisse, laptop & laptop guitar; Georg Janker, double-bass e Sunk Poschi, drums. L’ascolto del cd è come un viaggio attraverso una galassia di suoni e interazioni assolutamente incantevoli. Un continuo sorprendersi per come questi musicisti riescono ad interagire creando dialoghi dalle varie sfaccettature timbriche.  Un avvicendamento di climi e atmosfere che non ti aspetti. Un susseguirsi di attività vulcanicamente in ebollizione, luci e colori mutanti, percorsi labirintici apparentemente senza sbocchi che assumono traiettorie imprevedibili in un’incessante fluidità temporale e dialettica senza alcuna ripetitività. Si intravede dietro tutto ciò una sorta di intelaiatura di fondo un’accennata progettualità da svolgere in una condizione di un’assoluta oralità. L’improvvisazione è il sale essenziale di un’opera certamente unica che si aggiunge al carnet delle collaborazioni già attuate dall’ICI Ensemble con musicisti quali  Vinko Globokar, Giancarlo Schiaffini, Pierre Fabre, George E. Lewis ed Evan Parker, solo alcuni dei tanti, i più noti. Un’opera che definisce il potenziale espressivo e la sintesi che può derivare dalla collaborazione di musicisti europei ed esponenti dell’avanguardia d’oltreoceano. Da ascoltare e riascoltare fino a superare un apparente aspetto ostico che un primo approccio potrebbe falsamente evidenziare. Imperdibile.