mercoledì 28 dicembre 2011

ri-ascolti: - Paragon - Sam Rivers / Dave Holland / Barry Altschul


Dopo Paul Motian ci ha lasciati anche Sam Rivers, tempi tristi per noi cultori del jazz più creativo e libero. La notizia è arrivata ieri mentre tutti eravamo ancora in qualche modo alle prese con i postumi della festività natalizia e a tarda sera mi sono limitato a twittare un mesto goodbye e un sentito R.I.P. Oggi sul mio ipod ho in play uno dei suoi capolavori: e’ Paragon album registrato al Davout Studio di Parigi il 18 aprile del 1977, di cui esiste una sola versione in vinile della Fluid Records, ormai fuori stampa. Rivers è stato uno dei grandi esponenti del free jazz, la sua infanzia a Chicago, figlio di cantante e di una pianista, ne hanno plasmato la personalità di musicista insieme agli studi in una alta scuola cattolica sempre in quella città. Intorno ai vent’anni, era nato il 25 settembre del 1930, approda a Boston dove successivamente diventa insegnante presso la Berklee School. Poi il suo trasferimento  a New York, la sua tournèe con Miles Davis nel 1964 e via di seguito il sodalizio con Cecil Taylor e l’attività con lo studio Rivbea, nel 1973, in un loft di NewYork coadiuvato dalla moglie Beatrice. Da qui in poi sarà tutta un’ascesa nell’olimpo dei più arditi esponenti del free e nel 1978 questo lp con Dave Holland, basso e cello, Barry Altschul, batteria e percussioni. Lui si alterna, da vero pluristrumentista, al sax soprano e tenore, flauto e pianoforte. La prima traccia “Ecstasy” è nervosa, permeata da un’urgenza espressiva dirompente, il trio è impegnato in un interplay fitto dove ogni passaggio ha una sua logica costruttiva ed evolutiva verso un flusso libero lasciato all’inventiva del protagonista. Poi il  minuscolo tema si ripropone imbevuto delle declinazione improvvisate del leader. “Bliss”, di seguito è piatta quasi strascicata con Rivers al flauto e Holland al cello. Cameristica e grigia disegna una melodia indefinita, fragile e del tutto insipida, appena arricchita dalle bolle cromatiche-percussive di Altschul. Con “Rapture” il clima torna frenetico, Rivers sembra sfuggire ai suoi compagni fin quando arriva l’assolo, breve ma intenso, di Alschul: fluorescenti, fluidi e contorti così si percepiscono i tre nel finale del brano. Fin qui la side A del 33 giri mentre nella prima delle due tracce della side B il leader è al pianoforte con l’ombra appena percettibile di Taylor dietro. Splendido il suo confrontarsi alla tastiera   con la frenesia della coppia ritmica. L’ultima traccia, che da il titolo all’intero lp, traccia nel contempo il tratto espressivo e la filosofia free del sassofonista, il suo jazz è frutto di un 'attività di ricerca non è il free votato all’oralità sfrenatamente estemporanea di altri esponenti del genere. “Paragon” in chiusura è mutante, frastagliata, cangiante nei ritmi e nel climax, avanguardia e libertà strutturata e grande passione. In questo brano finale lui è impegnato ai sax, al flauto e al piano incise singolarmente e poi sovrapposte in sede di missaggio. Indimenticabile e indiscutibilmente insostituibile nella storia del jazz, cosi è stato e sarà per sempre Samuel Carthorne Rivers.




 

domenica 18 dicembre 2011

Fremdenzimmer

Baloni

Clean Feed


Sarebbe riduttivo collocare esclusivamente in ambito jazz il trio formato da Joachim Badenhorst, bass clarinet, clarinet e tenor sax, Frantz Loriot, viola e Pascal Niggenkemper, contrabbasso, perché si tratta di musicisti che pur esprimendosi  attraverso una dialettica prettamente jazzistica  caratterizzano il loro linguaggio  con sonorità molto vicine alla musica da camera e con una costante enfasi creativa d’avanguardia. Badenhorst, belga,  è  membro del trio del celebre batterista Han Bennink e attualmente fa anche parte dell’ensemble “Novela” del sassofonista Tony Malaby di cui è appena uscito l’omonimo album. Loriot, franco-giapponese, ha militato nei gruppi di musicisti come Joelle Léandre, Barre Philips, David S.Ware e Anthony Braxton. Niggenkemper, franco-tedesco, è uno dei membri del trio HNH  che ha dato alle stampe l’omonimo cd; è componente del quartetto che ha inciso il pregevole Polylemma ed è  titolare dello splendido Upcoming Hurricane dove è affiancato da due esponenti della downtown newyorkese:  il pianista Simon Nabatov e il batterista Gerard Cleaver.  Questo  recente Fremdenzimmer, inciso per la intraprendente etichetta portoghese Clean Feed, è firmato “Baloni” nome assunto dal trio unendo le prime due lettere  dei  loro cognomi. Si tratta di una produzione di grande valore: un misto di  originalità e  azzardo che premia la ferma volontà del trio di uscire da canoni espressivi già conosciuti. L’iniziale “Lokomotive” è il biglietto da visita del trio, un brano fluido, in continua metamorfosi con i tre musicisti in piena simbiosi interattiva: i tre strumenti sembrano muoversi in assoluta assonanza sonora. Niggenkemper, come fa spesso, usa in prevalenza l’archetto, i suoni si mescolano, si sovrappongono e poi ancora si evidenziano con analiticità. In “Searching” traccia n.3 delle 11 contenute nel cd c’è un dialogo elaborato anche sul versante delle sonorità tra i fiati e la viola con il contrappunto del contrabbasso; frazioni di studio si alternano ad altre imbevute di leggera tensione in un crescendo vibrante di sottile armonia e ritmo. I toni gravi che sopraggiungono spengono i timidi raggi di luminosità poco prima avvistati e l’atmosfera si fa rarefatta con il sopraggiungere di “Torsado” che vede in primo piano la viola di Loriot. Il solo del franco-giapponese è impregnato di grande partecipazione emotiva, l’archetto preme con violenza sulle corde mentre contrabbasso (con l’archetto) e fiati si affiancano con un ciclico giro armonico. Il clima dell’intera produzione si realizza in questa dimensione di ricercata attività improvvisativa e lo si scopre andando avanti nell’ascolto: Badenhorst, Loriot e Niggenkemper ricercano l’assoluto orizzonte di un'ideale commistione tra le varie essenze della musica contemporanea e riuscire a percepirne i contrasti, le affinità e le possibili sintesi per poi riproporle nella dimensione temporale e definita di una produzione discografica è sicuramente di grande merito. Stridulo, delicato, tempestoso ma straordinariamente unico e affascinante: questo è Fremdenzimmer.



BaLoNi at NewAdits Festival 2010 di re1of5de643s2wsd

domenica 11 dicembre 2011

Eto

Sakoto Fujii Orchestra New York

Libra Records


Chi frequenta abitualmente questo blog avrà senz’altro notato che la pianista Satoko Fujii è una delle mie artiste preferite, sono parecchi gli album che la riguardano che io ho già recensito. Apprezzo la sua creatività, la visione ampia del concetto jazzistico che lei promuove, la promiscuità dei suoi progetti, il suo sapersi confrontare e rendersi disponibile anche in collaborazioni dove non risulta impegnata in prima persona. E poi ci sono le orchestre, vere e proprie big band disseminate in quattro città diverse: Kobe, Nagoya, Tokio e New York. Con quest’ultima la Fujii ha di recente realizzato il cd Eto che prende il nome dallo Zodiaco cinese a cui l’intero lavoro è ispirato, un lavoro nato nell’anno in cui il suo compagno, Natsuku Tamura, trombettista al suo fianco anche nelle esperienze artistiche, ha compiuto sessantenni, un’età il cui raggiungimento è considerato in giappone di buon auspicio e che da luogo ad una celebrazione chiamata Kanreki. Ben 17 le tracce presenti di cui 14 brani costituiscono la suite che prende il nome dal titolo dell’album ovvero un’overture e un epilogo uniti da 12 brevi brani scritti dalla Fujii riferendosi ai 12 animali che rappresentano gli altrettanti segni  dello zodiaco cinese. In ognuno di questi brani è stato riservato uno spazio per il solo di ognuno dei dodici fiati coinvolti nell’orchestra newyorkese. Con la Fujii sono infatti partecipi  ben altri 14 musicisti: Noriega, Krauss, Eskelin, Speed, Laster, sax; Ballou, Robertson, London e Tamura, trombe; Hasselbring, Sellers, Fiedler, tromboni, Takeishi, basso, Alexander, batteria. L’apertura della selezione è con il brano “The North Wind and the Sound” dai toni gravi e dall’incedere pomposo, ricco di cambi di tempo e variegate trame musicali spesso in crescendo con in grande evidenza i fiati. Poi la sezione ritmica introduce l’overture della suite ed è tutto un susseguirsi di una miriade di esclamazioni sonore che prendono forma e interazione. Il variegato e affollato frontline dei fiati si esprime evidenziando le singolari e specifiche individualità in rapporto con l’interezza dell’orchestra. I bozzetti si susseguono uno dopo l’altro:  “Rat” evidenzia il solo di Speed che zigzaga fulminante con il pianoforte della leader; “Ox” è un’immagine leggera e vellutata illuminata dal trombone di Sellers, lirico e in crescendo, supportato dall’intera band; riff funkeggianti introducono il solo di Eskelin in “Tiger”; in “Dragon” il trombone distorto di Hasselbring trascina, sullo stesso ambient sopra le righe, gli altri fiati; e poi Tamura in “Snake” rompe ogni indugio, ogni limite ipoteticamente possibile. Il suono della sua tromba e l’articolazione dei suoi interventi  esprimono estro e provocazione. In quest’ambient newyorkese dove il combo elabora le sue idee viene fuori la tipicità unica di un linguaggio indefinibile gestito con una ampia e lungimirante concezione dalla pianista giapponese. Al di là di geometrie, anche in questo caso rispettose delle tradizioni delle big band, ma imbevute di intuizioni visionarie, si materializzano in questo lavoro nuovi stimolanti orizzonti per il jazz interpretato da formazioni allargate.


sabato 3 dicembre 2011

Polylemma

Joe Hertenstein
Thomas Heberer
Joachim Badenhorst
Pascal Niggenkemper

Red Toucan Records


Risiedono a Brooklyn, N.Y., ma sono europei: Joe Hertenstein, batteria e Thomas Heberer, tromba, dalla Germania; Pascal Niggenkemper contrabbasso, franco-tedesco; Joachim Badenhorst clarinetto basso, belga. Dalla loro intensa attività oltre oceano è nato il trio HNH, dalle iniziali dei primi tre, e anche l’omonimo e interessante album per la Clean Feed. Con l’aggiunta di Badenhorst, voluto da Hertenstein, leader di entrambe le formazioni, il trio, divenuto quartetto, ha inciso questo Polylemma, raffinato e ricercato lavoro in bilico tra ambiti strutturati e libere architetture. Otto composizioni divise a metà tra Hertenstein ed Herberer per tracciare una sorta di free bop a tratti imbevuto di fraseggi swing  e sinuosità avvolgenti altre volte intriso di una dialettica d’avanguardia dai toni rarefatti e da un ambient cameristico. In primo piano il fluire e l’intersecarsi delle vocalità dei due strumenti a fiato, tromba e clarino, supportati da una vibrante poliritmia che esalta le doti del duo Hertenstein-Niggenkemper, con il primo impegnato a nutrire la performance con un drumming intenso e mutante, mai slegato dalle dinamiche in atto e soprattutto mai in secondo piano. Niggenkemper, di cui è stato recensito qui il recente Upcoming Hurricane non è da meno con il suo puntiglioso contrabbasso e non disdegna anche in questa occasione di dare ulteriore prova della versatilità del suo strumento. La selezione si sviluppa su due binari paralleli, rispecchiando la diversa metodologia compositiva di Hertenstein e Herberer: da una parte una irrinunciabile ricerca di armonia e una modularità che delinea una struttura definita dei brani; dall’altra la conservazione di una tensione interattiva, di un dialogo nudo, non necessariamente strutturato, ma orale.  La successione dei brani è stata opportunamente finalizzata a creare un alternarsi di questi ambient, allo scopo di evidenziare la natura del progetto fortemente creativo e impregnato dei fermenti innovativi dei luoghi in cui i quattro protagonisti operano.


Polylemma [DEMO] by b-artist-relations