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evento da non perdere a Padova per il prossimo venerdì 24 maggio
2019 quando, ancora a cura del Centro d'Arte degli Studenti
dell'Università di Padova, alla Sala dei Giganti al Liviano
arriveranno Satoko Fujii e Myra Melford due esponenti dell'avant
jazz. In concerto in duo così come nel loro album registrato dal
vivo al Maybech Studio di Berkeley in California il 14 settembre del
2007 e poi pubblicato nel 2009 dalla Libra Records.
Mi
piace qui riproporvi la mia recensione dell'album che scrissi
quell'anno per Il Giornale della Musica pubblicata sul numero
9 del settembre 2009.
Dopo Paul
Motian ci ha lasciati anche Sam Rivers, tempi tristi per noi cultori del jazz
più creativo e libero. La notizia è arrivata ieri mentre tutti eravamo ancora
in qualche modo alle prese con i postumi della festività natalizia e a tarda
sera mi sono limitato a twittare un mesto goodbye e un sentito R.I.P. Oggi sul
mio ipod ho in play uno dei suoi capolavori: e’ Paragon album registrato al Davout Studio di Parigi il 18 aprile
del 1977, di cui esiste una sola versione in vinile della Fluid Records, ormai
fuori stampa. Rivers è stato uno dei grandi esponenti del free jazz, la sua infanzia
a Chicago, figlio di cantante e di una pianista, ne hanno plasmato la
personalità di musicista insieme agli studi in una alta scuola cattolica sempre
in quella città. Intorno ai vent’anni, era nato il 25 settembre del 1930,
approda a Boston dove successivamente diventa insegnante presso la Berklee
School. Poi il suo trasferimento a New
York, la sua tournèe con Miles Davis nel 1964 e via di seguito il sodalizio con
Cecil Taylor e l’attività con lo studio Rivbea, nel 1973, in un loft di NewYork coadiuvato
dalla moglie Beatrice. Da qui in poi sarà tutta un’ascesa nell’olimpo dei più arditi
esponenti del free e nel 1978 questo lp con Dave Holland, basso e cello, Barry
Altschul, batteria e percussioni. Lui si alterna, da vero pluristrumentista, al
sax soprano e tenore, flauto e pianoforte. La prima traccia “Ecstasy” è nervosa,
permeata da un’urgenza espressiva dirompente, il trio è impegnato in un
interplay fitto dove ogni passaggio ha una sua logica costruttiva ed evolutiva
verso un flusso libero lasciato all’inventiva del protagonista. Poi il minuscolo tema si ripropone imbevuto delle
declinazione improvvisate del leader. “Bliss”, di seguito è piatta quasi
strascicata con Rivers al flauto e Holland al cello. Cameristica e grigia
disegna una melodia indefinita, fragile e del tutto insipida, appena arricchita
dalle bolle cromatiche-percussive di Altschul. Con “Rapture” il clima torna
frenetico, Rivers sembra sfuggire ai suoi compagni fin quando arriva l’assolo,
breve ma intenso, di Alschul: fluorescenti, fluidi e contorti così si
percepiscono i tre nel finale del brano. Fin qui la side A del 33 giri mentre nella
prima delle due tracce della side B il leader è al pianoforte con l’ombra
appena percettibile di Taylor dietro. Splendido il suo confrontarsi alla
tastiera con la frenesia della coppia ritmica. L’ultima traccia, che da il
titolo all’intero lp, traccia nel contempo il tratto espressivo e la filosofia
free del sassofonista, il suo jazz è frutto di un 'attività di ricerca non è
il free votato all’oralità sfrenatamente estemporanea di altri esponenti del
genere. “Paragon” in chiusura è mutante, frastagliata, cangiante nei ritmi e
nel climax, avanguardia e libertà strutturata e grande passione. In questo brano finale lui è impegnato ai sax, al flauto e al piano incise singolarmente e poi sovrapposte in sede di missaggio. Indimenticabile e indiscutibilmente insostituibile nella storia del jazz, cosi è stato
e sarà per sempre Samuel Carthorne Rivers.
Febbraio 2009, al Village Vanguard di New York si registra il live Lost in A Dream in scena il trio Paul Motian,Chris Potter, Jason Moran. Sarà pubblicato l’anno successivo per la Ecm e sarà presente nelle liste dei migliori album del 2010. Oggi a poco più di ventiquattro ore dalla triste notizia questo live diventa la penultima esperienza discografica di Motian che all’età di ottantanni ha cessato di vivere. Era da tempo che pensavo a un’altra etichetta con cui classificare le impressioni d’ascolto di album non recentissimi, pubblicati ancor prima della nascita di questo mio blog ed oggi do il via a questo genere di post che, più che delle recensioni, sono l’espressione di sensazioni che nascono da un ri-ascolto di album già noti. Lost in A Dream è un album dall’atmosfera soffusa, ricco di sottili melodie a volte appena accennate, quasi sussurrate e arricchite attraverso un dialogo intimo fra i tre musicisti. Straordinariamente lirico, Potter, come poche volte lo abbiamo ascoltato, raffinato e jarrettiano il pianoforte di Moran che appare illuminato da una divinità e poi lui il batterista che ha attraversato la storia del jazz, iniziando al fianco di musicisti come: Thelonious Monk, Coleman Hawkins, Lennie Tristano, Tony Scott e George Russell, proseguendo poi a metà degli anni ’50 accanto all’indimenticabile Bill Evans. E ancora, negli anni ’60, prima con Paul Bley poi con Keith Jarrett, e come non ricordare il sodalizio con Charlie Haden e potrei continuare così a nutrire una lunga lista. Tornando a questo cd, che sto ascoltando mentre butto giù queste righe, lo sento accarezzare i piatti, strofinare i tamburi con le spazzole. Mi affascina il suo personalissimo musicare con la batteria e mi colpisce l’energia quasi free di “Drum Music” un momento out rispetto all’ambient del resto dei brani alla fine del quale Motian presenta i suoi compagni di viaggio, in questa selezione di dieci brani tutti a sua firma tranne il reprise di “Be Careful it’s My Heart” composto da Irving Berlin. Ascoltando oggi questo cd avverto un’ inevitabile alone di tristezza che prima non avevo captato, probabilmente Motian quella sera era già a conoscenza del male che lo avrebbe portato via e sicuramente avrà ancora goduto per quella magica professione di musicista che le consentiva di essere lì in quel tempio del jazz newyorkese. Grazie Mr. Motian per tutto il jazz di questi anni.