Cuneiform Records
Sembrerà
un’ossessione, un’incondizionata ammirazione, da parte del sottoscritto, per
uno dei musicisti più innovativi del jazz contemporaneo, quel Rob Mazurek,
trombettista, da Chicago, fortemente innamorato
del Brasile dove ha vissuto negli ultimi otto anni. Ora Mazurek è tornato nella
città del vento dove continua a tessere preziose tele musicali che irrorano la
sua già ricca discografia. Una discografia che, credetemi, contiene
straordinarie produzioni realizzate con varie formazioni e in diversi contesti,
da qui la mia ammirazione non incondizionata ma certamente critica che voglio
condividere con voi che frequentate questo blog. Quest’ultimo tassello
discografico arriva per commissione dagli organizzatori di una mostra di
pitture a S.Paolo, Brasile, durante i mesi di agosto e settembre 2012,
denominata We Want e dedicata al grande Miles Davis. A Mazurek era stata
richiesta una reintepretazione di alcuni brani dell’opera del mai dimenticato
trombettista e lui invece sorprende tutti proponendo cinque brani originali scritti per l’evento
ed eseguiti con un ensemble che riunisce: John Herndon alla batteria, Jason
Adasiewicz al vibrafono, Nicole Mitchell ai flauti, ovvero una parte
dell’Exploding Star Orchestra; i sudamericani
Mauricio Takara,
percussioni e cavaquinho (una sorta di
ukulele brasiliano); Guilherme
Granado, tastiere ed elettroniche, entrambi questi due ultimi, membri con il
nostro dei São Paulo Underground; Carlos Issa alle chitarre e lo svizzero, da anni
trapiantato in Brasile, Thomas Rohrer, rabeca (viola brasiliana) e c melodica
sax. L’opera che ci ritroviamo è ancora una volta intrisa di genialità, Mazurek
non si limita a comporre musiche affini al maestro di riferimento, soggetto
della mostra, bensì approfitta dell’occasione per tracciare un progetto che
appare come un’ulteriore evoluzione e sintesi dei tanti filoni già percorsi in
precedenza. C’è anche in questo una forte componente ritmica che sembra unire
la frenesia sudamericana con la liberta del free, c’è un forte intreccio di
ostinati sonori lasciati alla libera interpretazione dei singoli. C’è una
grande spazialità espressiva in cui ogni musicista si muove secondo il
coinvolgimento che riesce a percepire durante lo svolgersi esecutivo. L’ottetto
guidato dal trombettista crea un flusso sonoro costante e intenso che sembra
inondare l’ascoltatore. Nel magma sonoro che avanza si infilzano i fraseggi dei
fiati di Mazurek e della Michell, i primi ricchi di umori davisiani, i secondi
intrisi di tribalismo africano. Svetta poi a spezzare questa continuità un
magistrale dialogo, tra il vibrafono di Adasiewicz e la tromba
del leader, impinguato di liricità struggente, all’interno di “Passing Light
Screams” terza delle cinque tracce contenute nel cd. Il resto è ancora un
torrente inondante di suoni e ritmi, un caleidoscopio luminescente e ricercato
nell’estemporaneità densa di creatività dove c’è posto per la connivenza di
elettronica e strumenti acustici dove si celebra ricerca e rivalutazione di
identità espressive dense di tradizione.
Giuseppe Mavilla