Matt
Renzi
Stefano Senni
Jimmy Weinstein
El Gallo Rojo
El Gallo Rojo
In tre: Matt Renzi, sax, Stefano Senni, contrabbasso e Jimmy
Weinstein, batteria, si sono ritrovati nello studio di registrazione di
quest’ultimo, a Padova, il 12 ottobre 2010 per una session tra musicisti
abituali frequentatori della scena jazz più creativa. Una session che non
anticipava una relativa produzione discografica che invece a sorpresa oggi ci
ritroviamo disponibile tutta improntata su un’oralità estemporanea tra
musicisti che trovano un ispirato interplay in quella che di fatto è
un’articolata suite divisa in quattro parti. E’ Renzi a tracciare le coordinate
di un percorso espressivo variegato in cui il suo sax assume toni e dinamiche
cangianti sempre contraddistinte da un’intensità di fondo che lascia trasparire,
a tratti, una liricità suadente e passionale a cui si contrappone in altri
momenti una visceralità nervosa. Questi elementi attraggono in primo luogo i
due suoi compagni di viaggio, Senni e Weinstein, che convergono il loro apporto
sintonizzandosi sulla stessa lunghezza d’onda del sassofonista. E’ cosi che il
combo appare sin dalla prima traccia “First Story” che si consuma proprio con
il definirsi di questa sinergia e ciò si avverte con chiarezza nella parte
centrale del brano quando l’intreccio delle tre componenti strumentali si
mostra magnificamente bilanciato e armonizzato. In “Second Story” l’ambient si
fa ipnotico, i fraseggi sinuosi del clarinetto, che Renzi alterna al sax tenore,
sono contrappuntati da una sezione ritmica per nulla ammaliata dalle
inflessioni conturbanti dello strumento a fiato; c’è un’ interazione iperattiva mista a fantasia, da parte del duo, da cui prende vita
successivamente un ostinato di contrabbasso e un solo di Senni. La seguente “Third
Story” esordisce con un tema danzante intriso di una velatura etnica che via
via lascia il posto ad una improvvisazione sempre più densa di ritmiche
ostinate con parentesi rarefatte in cui si definiscono dialoghi a due che riportano in primo piano le tendenze
avanguardistiche dei tre protagonisti forse qui un po’ intimorite dall’
architettura totalmente estemporanea della performance. Ed è in questo contesto,
così come nella quarta ed ultima traccia, che sopravviene una qualche
ripetitività di frangenti già dipanati nelle tracce precedenti. Aspetti quest’ultimi
certamente inevitabili, quando tutto nasce in modo spontaneo e in relazione ad
un evento improvvisato, e che, comunque, non sminuiscono la bontà delle 4 Stories narrate.
Giuseppe Mavilla
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