Al via sabato 10 febbraio la nuova rassegna del Centro d'Arte dell'Università di Padova come sempre tutta da scoprire e gustare.
Di seguito il comunicato di presentazione e qui tutti i dettagli di una stagione musicale da non perdere.
Centrodarte24 propone la collaudata, e sempre rinnovata, miscela di ingredienti diversi che rispecchiano il variegato paesaggio della musica attuale: nuove tendenze della composizione, della performance improvvisata, della ricerca sul suono assistita dalle tecnologie.
L’apertura del 10 febbraio, alla Sala dei Giganti, segna il ritorno di Otomo Yoshihide, un artista molto amato e spesso ospite delle rassegne del Centro d’Arte, che per la prima volta si presenta al pubblico padovano con il New Jazz Quintet, uno dei suoi progetti più longevi. Fondato nel 1999, ha segnato un punto di svolta per il chitarrista, che da una lunga carriera dedicata al noise e alla sperimentazione pura tornava al jazz che aveva segnato gli inizi della sua carriera. Il gruppo ha cambiato più volte formazione, includendo di volta in volta i musicisti più interessanti sulla scena jazz giapponese, oltre a tanti ospiti illustri (Alfred Harth, Mats Gustafsson, Axel Dörner). La versione più recente del gruppo include due giovani e apprezzatissimi talenti come Ruike Shinpei alla tromba e Osamu Imagome al trombone. Dopo una lunga pausa il New Jazz Quintet è tornato a registrare con questa formazione nel 2020 e torna per la prima volta in Europa con un breve tour e solo due date in Italia.
A seguire, il 24 febbraio, una doppia serata con due giovani talenti, Francesca Naibo e Valeria Sturba. Naibo, chitarrista veneta ma milanese di adozione, si muove agilmente tra tutte le varie incarnazioni della chitarra, dalla classica, all’elettrica, alla fretless fino alla pedal steel. Impegnata da anni, anche come musicologa, in una ricerca su nuove modalità della performance solistica è a suo agio nell’improvvisazione libera e nella composizione, ed è particolarmente attenta al rapporto tra gesto e suono. Valeria Sturba, poliedrica multistrumentista/cantante che si muove tra theremin, violino e oggetti sonori, nel suo set onirico e colorato pizzica corde, spinge pulsanti e gira manopole, aggiunge e moltiplica suoni per creare mondi paralleli, in cui canzoni dolci e malinconiche sprofondano in abissi di rumore.
Il 16 marzo è la volta di Evan Parker che, in uno dei suoi ormai rari tour continentali, ritorna a Padova alla vigilia del suo ottantesimo compleanno in un formato “classico” e nuovo allo stesso tempo, il solo di sax soprano. Le sue esibizioni solistiche con questo strumento sono sempre un’esperienza intensa e coinvolgente. Una tecnica assolutamente personale, conseguita per mezzo di una padronanza assoluta dei multifonici, della respirazione circolare, delle diteggiature non convenzionali, creano illusioni acustiche e drammaturgie sonore sempre nuove. Questa volta il viaggio di Parker si svolge sullo sfondo di cangianti paesaggi elettroacustici che, grazie al suo storico collaboratore Walter Prati, orchestrano il suo solo.
Un ottimo esempio della progettualità che lega i curatori e gli artisti è rappresentato dal trittico di concerti che si svolgerà il 26 e il 27 marzo con la residenza di Rob Mazurek. Si tratta del coronamento del legame costruito nel tempo tra il Centro d’Arte e l’artista, iniziato nel 2005 con un concerto del Chicago Underground Quartet. Da allora, la presenza di Mazurek a Padova è stata costante ed ha illustrato l’evoluzione del pensiero musicale di uno dei protagonisti della musica di oggi. La concezione artistica di Mazurek, che è anche notevole artista visivo, si sviluppa coordinando un “segno” multidisciplinare, che collega la trasformazione della materia. La musica infatti si flette alle sollecitazioni più lontane tra loro: suoni naturali, mutazioni digitali, canti sciamanici, il jazz acustico come collante espressivo, un nuovo sinfonismo percussivo. I tre concerti di questa residenza con i gruppi New Future City Radio, Chicago-São Paulo Underground Trio e l’inedito Galactic Percussion Unit hanno come obiettivo implicito quello di mettere a fuoco i diversi aspetti di questa musica in continua trasformazione.
Un altro ritorno, dopo oltre 6 anni, vede il 13 aprile una formazione che si è guadagnata ormai il titolo di ‘leggendaria’, il trio australiano The Necks. Qualche anno fa, in un lungo articolo comparso sul New York Times, lo scrittore Geoff Dyer li ha definiti “il più grande trio della terra”. Il seguito e il culto di cui sono da tempo circondati sono giustificati dal risultato di un paziente e costante lavoro di ricerca che i tre musicisti hanno svolto a partire da una formula convenzionale, quella jazzistica del piano trio, che è stata, con tanto metodo quanto intuito, smontata e ri-assemblata fino a divenire tutt’altro da quello che era all’inizio. Un tipico concerto di The Necks si sviluppa come un flusso musicale coerente, che parte da un elemento più o meno semplice, quasi sempre frutto di un’intuizione estemporanea, e che in seguito si evolve con lentezza e costanza.
Pochi giorni dopo, il 19 aprile, è la volta di Lina Allemano, trombettista e compositrice canadese che divide le proprie attività tra Toronto e Berlino, tra le musiciste più prolifiche e originali del jazz di oggi. Attiva in una miriade di progetti diversi, dai piccoli ensemble alla grande orchestra, negli ultimi anni ha concentrato la propria attività nel trio Ohrenschmaus e nel quartetto che presentiamo in questa serata, per la prima volta al Centro d’Arte. Il progetto Four esplora la composizione jazzistica da un punto di vista squisitamente acustico, in equilibrio tra il rispetto per la tradizione e la ricerca di nuovi linguaggi, con una buona dose di libera improvvisazione a fare da collante.
La prima parte di rassegna si conclude il 19 maggio con il concerto di Amirtha Kidambi Elder Ones, tra le formazioni più apprezzate sulla scena del jazz d’avanguardia newyorchese. Amirtha Kidambi collabora stabilmente con tanti protagonisti del jazz di oggi (William Parker, Mary Halvorson, Luke Stewart e molti altri), e in questo progetto si divide tra voce, harmonium e sintetizzatori, coadiuvata da altri giovani talenti come Alfredo Colon e Matt Nelson ai sassofoni, Lester St. Louis al basso e Jason Nazary alla batteria. La musica proposta dal gruppo continua la lunga tradizione del free jazz militante degli anni ‘60 e ‘70, con una forte attenzione verso temi legati a discriminazione razziale e giustizia sociale, declinata in forme musicali sempre nuove e attuali.
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