Lucian Ban & John Hébert
Sunnyside Records
Lucian Ban, musicista contemporaneo rumeno, pianista e apprezzato jazzman anche a livello internazionale, incontra il contrabbassista John Hébert, figura tra le più preminenti dell’attuale jazz newyorkese per un progetto sull’opera del suo conterraneo, compositore e direttore d’orchestra, George Enesco. Quest’ultimo virtuoso di violino, vissuto tra il 1881 e il 1955, e da tempo oggetto di culto a Bucarest a tal punto che in quella città si svolge ogni anno un festival per ricordarlo. Dall’edizione 2009 di questo festival, nato nel 1958, ecco materializzarsi il progetto del binomio Ban-Hébert grazie alla partecipazione di un ensemble messo su dai due autori e che comprende: Ralph Alessi: tromba, Tony Malaby: sax tenore; Mat Maneri: viola; Albrecht Maurer: violino: Gerald Cleaver: batteria; Badal Roy: tabla e percussioni. E’ una sorta di riproposizione in chiave jazz dell’opera di Enesco attraverso una certosina riscrittura di sette composizioni del musicista rumeno. Si è mantenuto il nucleo primario delle composizioni originali e si è poi proceduto ad un accurato innesto di parti libere che hanno dato modo ai vari solisti di conferire alle partiture una sfaccettatura jazz affiancata alle peculiarità etno-folk che le composizioni già in natura presentavano. Il cd si apre con “Aria et Scherzino……..” composta nel 1909, una melodia dai contorni struggenti, che ricorda il Morricone di “Nuovo Cinema Paradiso”. E’ un ingresso in punta di piedi nell’universo compositivo di Enesco che prelude a porzioni più effervescenti che trovano l’apoteosi nella conclusiva “Symphony n.4 (Unfinished)…….(1934) che Enesco cominciò a scrivere nel 1928 e mai arrivò ad ultimare, le cui partiture sono state ritrovate negli archivi di un museo a lui dedicato a Bucarest. Nell’esecuzione sembrano convergere e sintetizzarsi magnificamente alcune inedite tendenze velatamente svincolate da schemi esclusivamente classici dell’opera di Enesco e il dna jazz dell’ensemble, mentre l’incompletezza della scrittura costituisce per il gruppo l’intrigante invito ad un libero esercizio improvvisativo. Questa in estrema sintesi l’essenza di un’opera, che realizza una contaminazione magnificamente riuscita tra jazz e classica.
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