Il giro del mondo in…100 giorni: quelli del festival Crossroads, che celebra la sua ventesima edizione con una cifra tonda e altisonante, coinvolgendo oltre 500 artisti in più di 70 concerti, sparsi su tutto il territorio dell’Emilia-Romagna. Un vero festival itinerante non solo nelle scelte artistiche ma anche nel continuo spostamento da un estremo all’altro della regione passando per oltre venti comuni. Dal 28 febbraio al 7 giugno, star e nuove leve del jazz, dellatin, delle contaminazioni etniche e delle più varie musiche improvvisate saranno on the road lungo le strade emiliano-romagnole. Simbolo altisonante degli incroci tra stili, culture e geografie è il duetto di pianoforti che riunisce due stelle come Stefano Bollani e il cubano Gonzalo Rubalcaba, che suoneranno assieme in prima assoluta a Piacenza (27 marzo, Teatro Municipale): una prima mondiale che è anche la loro unica data italiana.
Crossroads 2019 è organizzato come sempre da Jazz Network in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna e con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di numerose altre istituzioni.
Mentre il nuovo album di Rosa Brunello Y Los
Fermentos è in uscita o forse è già uscito, dipende da quando leggete questa
recensione, voglio comunque raccontarvi di questo Volverse, terzo album del gruppo della contrabbassista già
apprezzata nell’ambito degli Omit Five di cui potete leggere qui e qui le
relative mie recensioni.
Questa è la terza opera per la musicista veneta, dopo
i già apprezzati “Camarones A La Plancha”e “Upright Tales” realizzati con formazioni diverse, il primo in
quintetto, il secondo con Y Los Fermentos, gruppo formato oggi da Alessandro Presti alla tromba; Luca Colussi alla batteria, Filippo Vignato al
trombone e all'elettronica e dalla stessa Brunello al contrabbasso.
Un album
registrato dal vivo alla Casa del Jazz di Trieste nel febbraio del 2017 e
pubblicato poco meno di un anno fa. Un album di modern jazz con una selezione
musicale che alterna a composizioni dalla struttura legata alla tradizione brani dall'articolazione variabile, con sonorità arricchite dalle
manipolazioni elettroniche di Vignato. La leader è il fulcro ritmico di
riferimento del gruppo, lo fa con una presenza
determinata ma non invadente che, accanto al drumming fantasioso, puntuale e
raffinato di Colussi, completa una sezione ritmica di gran pregio.
I due fiati
della coppia Presti-Vignato celebrano innanzitutto l'essenza lirica dei temi,
quattro dei quali a firma della Brunello ed uno ciascuno a firma Vignato e Colussi, per poi concedersi spazi
improvvisativi, sempre pianificati nella struttura dei brani, alimentando così
le dinamiche espressive del combo.
Il
tutto è riscontrabile in brani come “Christamas Tree” introdotto dal solo di
Colussi e dai luminosi fraseggi della tromba di Presti; “Pina Bausch”
ritmicamente sostenuto, con il riff borbottante di Vignato contrappuntato dalla
tromba di Presti. Un brano che si sviluppa in una costante e variegata mutabilità
di ambient e di ritmi. E poi la title track, rarefatta e minimalista nell’intro, lievita velocemente d’intensità
interattiva fino a formare un magma sonoro da cui, quasi magicamente, prende
corpo un tema dai chiari influssi mediterranei che, intervallato da porzioni
improvvisative, porta alla fine del brano.
Gli applausi del pubblico e la presentazione dei musicisti del
gruppo, ad opera della stessa Brunello, chiudono un album di pregevole fattura che difficilmente vi
stancherete di ascoltare.
Non so quanti di voi
conoscano Hale Smith, compositore classico, però per raccontarvi di questa
pubblicazione di Eric Dolphy, sassofonista, clarinettista e flautista, occorre
proprio iniziare da lui. Era l'aprile 1964, quando Dolphy si accingeva a
partire per un tour europeo come parte del gruppo di Charles Mingus, decidendo
di lasciare a Smith una valigetta dove insieme ad alcuni effetti personali
erano conservati delle incisioni relative alle sessioni del 1963 al Music
Makers Studio di New York.
Dolphy, come molti di noi
sanno, da quel tour non tornò più perché un malore, a Berlino, pose fine alla
sua vita e privò la scena jazz di quei tempi di uno dei più grandi musicisti
mai esistiti. La valigetta per mano di Smith finì
sotto la preziosa custodia del flautista James Newton e una parte di quei
nastri registrati sotto la produzione di Alan Douglas, non facenti parte delle
selezioni incluse negli album di Dolphy, Iron Man e
Conversations, furono poi dati nel 2016 da Newton a Zev Feldman della Resonance
Records, grande espolaratore e ricercatore di tesori musicali inediti perché
dimenticati nei polverosi e crepati scaffali di studi di registrazione oramai
dismessi. La conseguenza di questo passaggio da Newton a Feldman, di una parte
dei nastri contenuti in quella famosa valigetta di Dolphy (ovvero le copie mono
di quelle registrazioni) sono ora un triplo vinile uscito a Novembre e un
cofanetto di tre cd edito lo scorso gennaio. Ad entrambe le edizioni si
accompagna un prezioso libretto denso di foto ma anche di scritti tra i
quali quelli a firma di Newton, Feldman e ancora testimonianze dell'arte e
delle virtù di strumentista di Dolphy, espresse da musicisti come Coltrane,
Mingus, Coleman, Threadgill, Steve Coleman, Nicole Mitchell e tanti
altri.
Ma veniamo all'essenza
vera e propria di quest'opera, ovvero alla selezione musicale in essa
contenuta: tre cd per complessivi 19 brani di cui gli ultimi sette, quelli
contenuti nel terzo cd, alternative takes di altrettanti brani distribuiti negli
altri due. Ad accompagnare Dolphy all' alto
sax, flauto e clarinetto basso, fior di musicisti come William "Prince" Lasha al flauto; Huey
"Sonny" Simmons all’ alto sax,Clifford Jordan al sax soprano; Woody Shaw alla tromba; Garvin Bushell
al fagotto; Bobby Hutcherson al vibrafono; Richard Davis e Eddie Kahn al
contrabbasso; J.C. Moses e Charles Moffett alla batteria.
La saga
si apre con la festosa e danzante “Jitterbug Waltz” con in primo piano le
evoluzioni flautistiche del nostro. Seguono la latineggiante “Music Matador” e l’accorata e solitaria preghiera
d’amore di “Love Me” e ancora il
duetto straripante con Davis, in “Alone
Togheter” nonché le struggenti note delle due parti
inedite di “Muses for Richard Davis”. La febbre sale con la straripante “Iron Man”
e i brividi sopraggiungono all’ascolto di “Come Sunday” ancora in duetto
con Davis. Nel secondo cd troviamo l’immensa
“Burning Spear” altro esempio della grandezza di Dolphy e la trascendenza
sonora di “Ode To Charlie Parker” una composizione di
Jaki Byard ancora in duetto. Il secondo cd si chiude con la
bonus track “A Personal Statement” scritta da Bob James e registrata nel marzo del 1964 che include il contributo
vocale di David Schwartz.
Le sfaccettature della
musica di Dolphy sono tante, come le innovazioni e le intuizioni che nella sua
pur breve carriera ha saputo esprimere, lasciando nella storia del jazz
un’impronta fondamentale per l’evoluzione di questo genere musicale.
Quest’opera che Feldman e Newton hanno fortemente voluto ora è alla portata di
tutti noi appassionati del jazz e credetemi è sicuramente irrinunciabile.
A poco più di un mese dalla conclusione della stagione 2018, il Centro d’Arte torna a proporre la sua rassegna di musiche nuove e nuovissime, un cartellone sempre ricco di occasioni di scoperta per orecchie curiose e irrequiete. La proposta del Centro d’Arte parte da una concezione unica, che da sempre si sottrae alla logica della semplice distribuzione, ma è piuttosto un invito rivolto al pubblico a partecipare e condividere la ricerca che i curatori conducono insieme agli artisti. Musiche diverse, che sfidano generi ed etichette, vengono proposte in nove serate – ma altre ne seguiranno dopo la pausa estiva – a illustrare i molteplici linguaggi della contemporaneità, dal jazz alla composizione, dall’improvvisazione alla ricerca elettroacustica.
Radicato in una storia che si intreccia fin dalle sue origini a quella dell’Università, ma anche della vita musicale di una Padova sempre aperta sulle più vivaci esperienze internazionali, il Centro d’Arte propone sempre progetti originali, intrecciando collaborazioni dentro e fuori la città, con festival e rassegne affini e strutture di produzione attrezzate come SaMPL: il laboratorio di eccellenza del Conservatorio per il trattamento e la diffusione del suono che trasforma l’Auditorium cittadino in una formidabile macchina del suono per esperienze d’ascolto immersive. Questo è specialmente il caso della rassegna di ‘aperitivi acusmatici’ RADIA, che corre parallela ai concerti e offre rari ascolti in una dimensione conviviale.
Nel 2019 il Centro d’Arte muoverà dalla splendida Sala dei Giganti all’atmosfera raccolta del Torresino e all’Auditorium Pollini un pubblico sempre più curioso e consapevole, che sta crescendo in misura incoraggiante, anche grazie a una politica volta a favorire la massima accessibilità, specie ai giovani.
Centrodarte19 si apre l’1 febbraio nella storica cornice, come è ormai tradizione, della Sala dei Giganti, dove il Centro d’Arte è di casa da sempre. In scena gli Heroic Enthusiasts, due artisti ben noti al pubblico di Padova, ovvero il pianista Craig Taborn e il percussionista Dave King (già col trio Bad Plus). Un duo inedito, al suo debutto in Italia proprio al Centro d’Arte, le cui trame si possono soltanto immaginare alla luce delle dense biografie di entrambi, e che sull’idioma jazz innestano visioni sonore di molti e diversi mondi.