domenica 12 aprile 2020

Diatom Ribbons

Kris Davis

Pyroclastic



Quattordicesimo album per la pianista canadese Kris Davis, nativa di Vancouver ma dal 2001 cittadina newyorkese. Una discografia qualitativamente sempre in crescendo, in parallelo ad una maturazione artistica che la vede respirare e metabolizzare in pieno i fermenti creativi della downtown music di New York. Questo suo recente lavoro dal titolo Diatom Ribbons, inciso per la sua etichetta Pyroclastic, prende il nome da un processo biologico marino e vede la Davis affiancata da alcuni musicisti che in questi ultimi anni hanno lavorato con lei. 

Nell’entourage ritroviamo il sassofonista J.D. Allen, con il quale ha suonato nel 2017, durante le celebrazioni per il centenario della nascita del grande Thelonious Monk; la vocalist e contrabbassista Esperanza Spalding, con la quale ha collaborato in occasione dell’omaggio, nel 2018, alla scomparsa della pianista Geri Allen; la batterista Terri Lyne Carrington e il Dj Van Jeanty  che con lei si sono esibiti allo Stone di New York, nonché il chitarrista Marc Ribot che ha affiancato la Davis durante le interpretazioni di alcune opere di John Zorn. E ancora un’altro chitarrista, Nels Cline, introdotto nell’ entourage dal famoso produttore Ron Saint Germain, curatore a sua volta della produzione di questo album. A loro vanno aggiunti i musicisti che da sempre collaborano con la pianista, ovvero, Tony Malaby al sax, Ches Smith, in questa occasione al vibrafono e Trevor Dunn al basso elettrico e al contrabbasso acustico. 

Con musicisti di tal pregio e con una pianista come la Davis, dotata anche di grande capacità di scrittura e che in questi ultimi anni ha saputo volgere l’ascolto e la sua curiosità artistica oltre i confini della downtown newyorkese, non era del tutto impossibile riuscire a produrre un album come Diatom Ribbons. Nei fatti un mosaico di climi e ambiti sfaccettati attraverso un’espressività improntata sull’asse Davis-Carrington-Jeanty con l’innesto a turno, nei vari brani, di tutti gli altri musicisti sopra citati.

Ed ecco allora esordire la title track con la Davis che utilizza un piano preparato per un riff percussivo ostinato sul quale si innesca la campionatura, ad opera di Van Jeanty, della voce di Cecil Taylor, tratta da una intervista in cui racconta la sua passione per la musica, recitando tra l’altro....“a me la musica ha cambiato la vita”. La sezione ritmica Carington- Dunn fa il resto, imprescindibile come non mai, mentre la coppia dei fiati si lancia in un fraseggio funkeggiante con tanto di soli sia per l’uno che per l’altro. Campionata anche la voce  del compositore Olivier Messiaen in “Corn Crake” ancora grazie a Van Jeanty, che insieme alla Carrington e alla Davis interpreta il brano. Il layout espressivo della Davis è affiancato alla voce di Messiaen che si esprime in lingua francese arrivando a mimare il richiamo di un usignolo. E lei rilascia prima fraseggi di assoluta liricità poi, quando il brano cambia ritmo, si prodiga in un assolo con il contrappunto di un campionamento di basso Moog. 

Ma ancor prima di questo magnifico brano ci si lascia dietro la splendida interpretazione vocale, in pieno e raffinato stile standard jazz, di Esperanza Spalding alle prese con “The Very Thing” una composizione di Michaël Attias. Canto e improvvisazione nel finale, in eterea simbiosi con i registri alti del pianoforte della Davis. Si replica ancora, la Spalding, questa volta nell’incantevole recitazione della poesia di Gwendolyn Brooks To Prisoners“ in ”Certain Cells“ scelta dalla Davis perchè racconta di sentimenti di frustrazione e disillusione, gli stessi che lei oggi nutre nei confronti della politica americana. Dopo la sua oralità e le pulsazioni ritmiche, quasi ostinate di basso e batteria, mentre la Davis disegna un tema dai colori rarefatti  al flusso sonoro si aggrega anche Smith ed è così che il tutto si va, via via, avvolgendo attorno al riff chitarristico di Cline. Poi da citare c’è anche il duetto denso di feeling, complicità e dagli umori sottilmente ellingtoniani che prende il titolo di “Sympodial Sunflower” e i lampi fulminanti in pieno clima rockeggiante di “Golgi Complex” (The Sequel) e “Golgi Complex”. 

Si chiude con la “Reflections” di Julius Hemphill che pare arrivata all’attenzione della Davis ad opera del sassofonista Tim Berne che le ha mostrato la partitura originale. La pianista canadese ne ripropone una versione straordinariamente affascinante e coinvolgente, intrisa degli umori e dello spirito del grande Hemphill. In primo piano troviamo i due sassofonisti, Allen e Malaby. così diversi per stile e concezione della disciplina jazzistica ma complementari in quest’ambito così ben concepito dalla Davis. Ambito dove appaiono riuniti tutti quelli elementi presenti nei vari brani: il jazz, il genere hi-pop, certi aspetti di rock duro e l'elettronica, qui impiegata con grande intelligenza. Il tutto votato a fare di questo album uno dei lavori più riusciti e più innovativi di questi ultimi anni.

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