Gaia Mattiuzzi
Aut
di Giuseppe Mavilla
Di Gaia Mattiuzzi ho un ricordo che mi porta indietro nel tempo fino al 4 settembre del 2009 e al festival Altro Jeizz. Era il Cortile Pandolfi Art Pub di Pozzallo, teatro di un concerto jazz del duo, voce-batteria e percussioni, Gaia Mattiuzzi-Francesco Cusa, con il progetto Skynshout. Qui potete leggere la mia recensione completa di quel concerto per jazzitalia.net. Oggi riascolto la Mattiuzzi, con questo nuovo album, Inner Core, ............................
Se vado ad ascoltare i sette brani che sono contenuti nell'album mi ritrovo di fronte un ventaglio di soluzioni inedite e certamente intriganti. L'apertura è affidata ad un brano “Calyx” l'unico non originale, firmato Phil Miller e Robert Wyatt, in cui la vocalità della Mattiuzzi, supportata dal pianoforte di Lanzoni, si rivela in tutta la sua forza interpretativa. La successiva “The Way of Memories” scritta da Achille Succi con il testo, come in altri tre brani, tratto dall'opera Chamber Music di James Joyce, ha un tema vocale all'inizio e nella parte conclusiva del brano, mentre nella parte centrale si fa strada un'infusione di suoni elettronici che sembrano trasportarmi in un universo siderale.
Vocalità sospese ed eteree ondeggiano in “About the End of Love” scritta da Lanzoni, protagonista all'interno del brano di un stupendo solo. Poi la parte più esclusiva e avvincente dell'intero album, due brani, "From Dewy Dreams" e "The Last Flower in my Hair" il primo a firma Evangelista, il secondo a firma Mattiuzzi, uniti l'uno all'altro, che iniziano con un dialogo voce-contrabbasso a cui di seguito si aggiunge il pianoforte. Un tema struggente che lascia poi spazio ad un solo di contrabbasso che mi traghetta nel pieno di suoni elettronici, tecniche estese, fraseggi del sax di Gropper, voci sovrapposte, ostinati percussivi. Finale caotico ma estremamente godibile.
E ancora: il tema sognante, festoso, quasi trascendentale di “Riding a Photon” di Santimone che mi conduce nel pieno di una sorta di canyon sonoro dove tutto risuona, rimbalza, si consuma e mi riporta all'avvolgente armonia iniziale. Si chiude con “Winds of May” echi di rarefatto minimalismo denso di elementi sussurrati, tra la voce eterea della Mattiuzzi, l'elettronica di Lichtenberger, il sax di Gropper, in un vortice sonoro in crescendo. Cos'altro aggiungere, solamente che questo è un album da non farsi mancare.
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