Vijay Iyer
Trio
Il pianista indiano Vijay Iyer è da sempre uno
dei musicisti più innovativi della scena jazz di Brooklyn. A lui si guarda come
una fonte di energia vitale per lo sviluppo del jazz contemporaneo. Questa sua
recente produzione per l’etichetta tedesca Act prosegue il lavoro intrapreso
con l’ottimo Historicity del 2009 e
fa seguito al validissimo Solo del
2010. L’elemento primario su cui Iyer concentra la sua ispirazione è il ritmo
inteso come movimento, frenesia, danza, aspetti insostituibili nella vita di
tutti i giorni. Non a caso nelle note di copertina il pianista così definisce
il cd: "Questo album è il lignaggio della musica
americana creativa basata su ritmi di danza." A coadiuvarlo in questa
interpretazione moderna del classico piano trio troviamo Stephan Crump al
contrabbasso e Marcus Gilmore alla batteria due musicisti che interpretano in
maniera perfetta la filosofia di Iyer che mette insieme undici tracce tra
originali e riproposizioni dimenandosi tra un’ossessione ritmica costantemente
in crescendo e un esercizio armonico di raffinato impatto. Il trio esordisce con
la snella “Bode” una sorta di genesi ritmica che preclude alle seguenti “Optimism”
e “The Star Of a Story” in cui il ritmo prende forma quasi ipnotica in un continuo
crescendo spezzato solo da cellule di
armonie a cui da alito oltre al pianoforte del leader il contrabbasso di Crump.
Con la quarta traccia il pianista estrae dal suo magico cilindro una magistrale
riproposizione di un hit del compianto Michael Jackson. E’ “Human Nature” una autentica perla la cui
armonia lirica e ritmica viene prima cesellata con minuziosa cura e successivamente
decostruita e ricostruita tra mille micro variazioni. Poi Iyer pesca nel
repertorio del grande e artisticamente introverso Henry Threadgill reinterpretando
“Little Pocket Size“ restituita, pur nella esiguità strumentale di un trio, in
tutta la sua complessità e caratterizzata da sonorità più nette e ricercate e
una ritmica sempre e comunque in crescendo. Sono tre composizioni inedite del
leader consumate in un ambient pulsante e fluorescente a precedere l’ultima traccia la magistrale “The Village of
Virgins” di Duke Ellington che mi catapulta dentro un ritmo gospel...... inebrio e
goduria a chiusura di una produzione di disarmante bellezza.
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