mercoledì 27 aprile 2011

Chun

Natsuki Tanura – Satoko Fujii

Libra Records
In duo con l’inseparabile trombettista Natsuki Tamura, la pianista Satoko Fujii confeziona un’altra produzione discografica che le dà modo di spaziare su vasti territori musicali che inglobano un’espressività complessa e non etichettabile. Prevale la componente jazz rilevabile nell’inventiva e nello stretto interplay tra i due, quando le trame musicali li vedono rincorrersi o sovrapporre all’unisono i suoni dei loro strumenti; si scorge il tratto d’avanguardia attraverso un pianismo maestoso e le dissonanti sfumature della tromba.
Inaspettato arriva anche lo sconfinamento nella musica classica evidenziabile in taluni passaggi o fraseggi caratterizzati, paradossalmente, da una sorta di romanticismo e non manca nemmeno la parentesi sperimentale, esigua, ma decisamente votata a fughe rumorose. E’ in definitiva un grande affresco sonoro con due musicisti che nella loro solitudine appaiono avvinghiati in un connubio forte e consolidato, interpreti di un gioco musicale fatto di incastri e rimandi che la Fujii conduce dall’alto di una personalità artistica non comune, sue le nove composizioni che ispirano ed esaltano Tamura. Un gioco che trova naturale sublimazione nella conclusiva “Triangle”, ventidue minuti di pura ebbrezza sonora.


Giuseppe Mavilla





 Chi sono?
        

Un appassionato ascoltatore di jazz, ma anche un critico del settore perché ormai da anni scrivo su varie testate.
Sono socio della Sidma (Società Italiana di Musicologia Afroamericana) per la quale ho realizzato, su incarico dell’Istituto Verga di Modica,il progetto “Jazz…le note inarrestabili”.

Per professione?

Mi occupo di informatica presso un ente pubblico

Le mie letture?

Tutto ciò che riguarda il jazz, l’attualità e la filosofia.

I miei contributi scritti?

In stampa sul mensile “Il Giornale della Musica”;

On line su:

 



Perché questo blog?

Per condividere opinioni e valutazioni sulla musica che ascolto, news ed altro.

il mio indirizzo di posta elettronica?

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Sided Silver Solid

Carl Maguire’s Floriculture
Firehouse12 Records
E’ complessa e sofisticata la materia prima di questo cd: jazz moderno dalle strutture articolate e dalle ampie dinamiche racchiuse in sette composizioni del pianista Carl Maguire, nativo del Wisconsin nella cui Università ha studiato improvvisazione con Roscoe Mitchell. Oggi vive a New York e questa è la seconda produzione discografica del suo Floriculture, ora in quintetto con Oscar Noriega clarinetti e sax alto, Stefanie Griffin viola, John Hebert contrabbasso e Dan Weiss batteria. Determinante la presenza dei primi due perché  fiati e  viola sono gli elementi che ne caratterizzano maggiormente il suono e le atmosfere. Quando è al clarinetto Noriega trova spesso un’assonanza nella viola della Griffin così da sprigionare un alone  cameristico e drammatico. Si muovono in simbiosi i due e appaino vincolati da un esclusivo dialogo anche nelle parti improvvisate dove la Griffin non lesina sonorità aspre e lancinanti. Maguire al pianoforte da l’idea di possedere un tocco personalissimo che sintetizza insieme elementi classici e jazz sorprendendo al piano elettrico in “Basic Botany” dove la pregevole sezione ritmica Herbet-Waiss si ritaglia un breve ma gustosissimo dialogo a due. Un cd che si rivela ascolto dopo ascolto attraverso sinuosi fraseggi  e spigolature corroboranti.


martedì 26 aprile 2011

Voladores

Tony Malaby’s Apparitions
 Cleen Feed Records






Il sassofonista Tony Malaby ripropone il suo quartetto “Apparitions” con Drew Gress al contrabbasso, Tom Rainey alla batteria e John Hollenbeck, sostituto di Michael Sarin, alle percussioni. Sei composizioni originali a firma del leader, tre improvvisazioni di gruppo e la ripresa di un brano di Ornette Coleman, “Homogenus Emotion”, mai inciso dall’autore, per un cd che prende il nome da una singolare danza della tradizione popolare messicana. Una conferma per Malaby sempre più prolifico e presente sulla scena newyorkese anche perché  richiesto in molte produzione altrui. Nel contesto in oggetto si evidenzia una volta di più il fraseggio vibrante e avvolgente, ossessivo e generoso del sassofonista. Una forza propulsiva che alcune volte assume le sembianze di un lamento introspettivo, intriso di spiritualità coltraniana, e altre volte calca territori di ricerca, come in “East Bay”, mentre nella conclusiva “Lilas” assume toni lirici e sinuosità world. Più che appropriato il drumming nervoso di Rainey e l’esotismo colorato dell’ampio catalogo strumentale di Hollenbeck nonchè il tratto raffinato, mai a corto della componente armonica, di Gress: l’intuizione geniale che non poteva mancare a fianco di Malaby.  Un mosaico quadrangolare argutamente pensato e magnificamente riuscito.   



(un)sentimental

The Thirteenth Assembly

Important Music

Una breve e sghemba ballata non a caso definita “Unfinished Ballad” apre questa succinta, poco più di 37 minuti, ma inaspettata produzione discografica che unisce alcuni degli esponenti più giovani ed eclettici della scena jazz newyorkese. Ognuno di loro ha già avuto più di una occasione per confrontarsi con l’altro, con chi adesso è al suo fianco a condividere questa esperienza. Qualcuno si porta dietro referenze importanti, come il cornettista Taylor Ho Bynum, referenze che di certo bada bene a non far pesare sul talento di musicisti come: Jessica Pavone, violino, Mary Harvolson, chitarra e Tomas Fujiwara, batteria. Qui tutti insiemi costruiscono una sorta di mosaico dagli incastri perfetti delineando un microcosmo sonoro piacevolmente indefinibile. Creatività e ironia, improvvisazione e perfino qualche ballata struggente dove elementi propri di vari linguaggi musicali risultano appena captabili perché metabolizzati attraverso una dialettica d’avanguardia che delimita, con appropriato acume, anche i ruoli di ognuno. Badano bene a non strafare o annoiare pur non rinunciando ad esibire le singolari peculiarità che li accostano ai loro strumenti e che ne fanno musicisti inconfondibili e sicure certezze per il futuro del jazz contemporaneo.

Less is more

Who Trio

Cleen Feed

Non ci sono fragori tra i solchi di questo cd, l’interazione tra il pianista Michel Wintsch, il contrabbassista Bänz Oester e il batterista Gerry Hemingway si realizza per buona parte all’insegna dell’introspezione e del minimalismo. Un lessico sussurrato che ricorda in taluni passaggi atmosfere di jarrettiana memoria e che in diversi episodi oltrepassa i confini della musica afroamericana. Tutto appare avvolto nell’aurea di un infinito sonoro velato e inafferrabile, dove il dialogo fra i tre protagonisti si incunea alternando fraseggi di elegante melodia a sottili tensioni che nervosamente pervadono taluni brani. Tutto rimane sospeso in un non svolgersi, in una incertezza indefinita. Profondo e raffinato il pianismo dello svizzero Wintsch, inevitabilmente intriso di cultura europea, in special modo nella prima parte di “Wedding Suite”. Accanto il delicato ma ricco percussionismo di Hemingway e  l’incedere incisivo e preciso del  contrabbasso di Oester. Appaiono distaccati protagonisti con nonchalance di un gioco fatto di suggerimenti e di accenni con il quale sembrano trascendere la realtà, immersi in un interplay denso d’intimità che incanta e trasporta. Viaggiamo con loro nell’incertezza di una idealità sonora fuggevole ma per una volta magicamente reale.  


Quartet (Moscow) 2008

Anthony Braxton

Leo Records


Evolve in quartetto il Diamond Curtain Wall Trio del sassofonista Anthony Braxton che aggiunge Katherine Young al fagotto ai già acclusi Taylor Ho Bynum ai fiati e Mary Harvolson alla chitarra. Tutti rigorosamente allievi del grande maestro ed impegnati in un percorso dagli orizzonti più ampi, rispetto all’esperienza della Gost Trance Music, in cui si evidenzia l’uso di un laptop e del software Super-Collider.
La registrazione, dal vivo a Mosca nel luglio 2008, si snoda attraverso due composizioni la “367B” ed “Encore” ma l’essenza dell’opera è tutta racchiusa nella prima delle due, settanta minuti in cui il quartetto avvolge il suono sintetico del quinto elemento, a volte sottilmente velato altre volte stridente e incalzante, in un vortice di musica in continua ebollizione. Non mancano  momenti di distensione mai avulsi e impropri nelle dinamiche variabili della DCWM. Le  incursioni del vasto campionario di fiati che la coppia Braxton-Ho Bynum mette in campo si caratterizzano per le innumerevoli variazioni tonali e ritmiche, contrappuntati dagli interventi cameristici della Young e dal trasversalismo chitarristico della Harlvorson. Ma ciò che più sorprende è come il quartetto riesce a celare l’elemento informatico tra le pieghe di una tangibile fisicità sonora. 
  
 Giuseppe Mavilla