Anthony Braxton
Trio & Quintet
Hatology
Dopo essermi occupato della ristampa del prezioso “Intets and Purposes” di Bill Dixon rimango in tema di riedizioni con un altro album importante firmato questa volta dal grande Anthony Braxton, un album registrato nel 1972 e inizialmente pubblicato in Giappone in formato LP dalla Trio Pa Records. L’album fu poi proposto in Eurora in prima edizione nel 1992 dalla Hat Art e riproposto in ristampa, dopo un remix nel 2010, dalla svizzera Hatology agli inizi di quest’anno. Una delle tante perle della discografia del sassofonista di Chicago registrato dal vivo in un locale storico per il jazz di tutti i tempi: il Town Hall di New York. Una session del 22 maggio del 1972 divisa a metà tra due formazioni diverse un trio e un quintetto per un totale di quattro brani. Nella prima parte è protagonista il trio e accanto a Braxton troviamo il contrabbasista Dave Holland e il batterista Philip Wilson. L’apertura è contraddistinta da una certa frenesia ritmica, alimentata con nerbo e inarrestabile continuità dalla coppia Holland-Wilson. Su cotanto brusio ritmico Braxton si lancia dirompente e determinato con un ampio campionario lessicale che inonda la struttura primaria (n) della “Composition 6”. E’ incontenibile il sax-man di Chicago e torna spesso sulla frase del tema per poi riprendere le sue rincorse. La sezione (o) della “Composition 6” che in naturale divenire completa il primo brano esplica un’atmosfera meno impetuosa e dedita ad un dialogo più rarefatto e ricercato con Holland che impugna l’archetto. Il trio si congeda con una spumeggiante e originale versione della famosa “All the things you are” firmata da Jerome Kern introdotta da un solo di Wilson che precede l’inserimento di Holland e dello stesso Braxton che sembra aggredire la melodia base del brano prima di accennarne le frasi principali del tema e da lì liberare tutto il suo impeto improvvisativo. Per la seconda parte del cd è di scena il quintetto con Braxton affiancato ai fiati da John Stubblefield che si porta dietro anche un gong e delle percussioni. Holland rimane al contrabbasso mentre alla batteria siede Barry Altschul che opera anche alla marimba e a sopresa si aggiunge una vocalist di classe e di azzardo come Jeanne Lee. L’atmosfera torna a placarsi e il quintetto sembra avviato a plasmare una sintesi tra le diverse anime strumentali, un incastro pensato a dovere da Braxton in sede compositiva e magnificamente ricreato ma soprattutto arricchito grazie alla libertà dell’improvvisazione nella realtà del Town Hall. Braxton è ancora protagonista anche con il dialogo che instaura con Stubblefield e in questo ambito si inseriscono le gesta vocali della Lee: vocalizzi, scat e testi astratti che vanno a integrarsi perfettamente nello sviluppo della performance in atto, divisa in due parti (PI e PII), della stessa “Composition 6”. In grande evidenza il pregnante contributo di Holland, l’estro, accostato all’esclusiva attinenza, di Altschul e il variegato campionario di Stubblefield. Una riedizione che assume anche un importanza storica nella conoscenza dello sviluppo dell’opera Braxtoniana sicuramente irrinunciabile. Tra free e avanguardia.
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