Nate Wooley Quintet
Clean Feed Records
Il trombettista Nate Wooley stempera i suoi bollori di stampo downtown ripiegando su un post bop di esclusiva eleganza e raffinatezza in questo cd ispirato alle donne che hanno in qualche modo condizionato la sua vita. Inciso per la portoghese Clean Feed in compagnia di Josh Sinton, clarinetto basso, Matt Moran, vibrafono, Eivind Opsvik, contrabbasso e Harris Eisenstadt, batteria. L’ascolto ci restituisce un jazz moderno dove convive un’estetica cool e dove il leader, spalleggiato da Sinton, non rinuncia comunque a piazzare i suoi strali d’avanguardia esplicati attraverso una sorta di sconfinamenti timbrici su tonalità aspre e graffianti a conferma che Wooley non nutre alcun ripensamento relativamente alle sue precedenti esperienze. I dieci brani evidenziano una struttura ben definita e in molti casi pregevolmente articolata e ricercata. L’elemento vincente per l’intera produzione è l’anello di giunzione tra passato e presente delineato con opportuno equilibrio. I fiati di Wooley e Sinton, tromba e clarinetto basso, sembrano danzare, con sottile eleganza, sul front-line mentre la sezione ritmica rende fluide le dinamiche e il vibrafono di Moran ingentilisce il suono arricchendo l’espressività del combo. Ma chi sono queste donne così importanti nella vita di Wooley? Il trombettista sembra abbia rivelato in una recente intervista che si tratta della moglie, della mamma, della nonna e delle zie aggiungendo che hanno elevato la sua vita. Questi i soggetti ispiratori di buona parte delle dieci tracce contenute nel cd titolate con nomi di donne: “Shanda Lea” su tutte, proposta in apertura e in chiusura per sola tromba e tromba con sordina e nella parte centrale con tutto il gruppo, scandita da un eccellente e improvvisato dialogo tra i due fiati. E ancora la snella, anche se di ampia durata, poco più di nove minuti, nonché sofisticata, “Cecelia” introdotta dal fraseggio iniziale di tromba e clarinetto, poi dilatata per qualche minuto dalla ritmica della band con in primo piano il vibrafono di Moran. A seguire l’intima “Pearl” con Moran in primo piano, quasi una ninna nanna in chiave jazz, la boppistica “Elsa” e la danzante “Hazel”. Godibile!
2 commenti:
Come hai giustamente scritto, questo album sembra una pausa da parte di Wooley dalla sua musica più scatenata e sperimentale (penso su tutto all'album con Peter Evans "High Society"). Lascio il sembra, perché la tendenza graffiante di Wooley di tanto in tanto emerge con forza e precisione chirurgica. Di certo non sarà l' "album" di Nate Wooley, ma come hai scritto è davvero godibile ed direi autoironico in molti passaggi. Non ti voglio rubare il mestiere! Le mie sono solo povere considerazioni di una persona che ascolta molta musica. Grazie per aver segnalato anche questo album. Insieme ad altri che hai recensito, si tratta di ascolti interessantissimi, ma che come troppo spesso accade, vengo lasciati in ombra da altre (ben meno valide) produzioni.
Ti ringrazio per il tuo commento e ci tengo a precisare che le tue non sono povere ma azzeccatissime osservazioni. E' vero che la tendenza graffiante affiora ma io ho voluto sottolineare particolarmente questo aspetto così fuori tendenza nella sua produzione perchè lo ritenuto veramente indovinato.
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