Matteo Paggi
Aut
E’ in circolazione dallo scorso 15 febbraio Words nuovo album del trombonista Matteo Paggi che dall’estate 2022 fa parte del quintetto di Enrico Rava “The Fearless Five”. Per questo progetto Paggi ha coinvolto la flautista Iara Perillo, la violinista Irene Piazza, la contrabbassista Anja Gottberg, il batterista Anton Sconosciuto e un’altra violinista, Mona Creisson, in una traccia dell’album. Per Matteo Paggi questo è un lavoro ed un progetto che lui definisce laboratorio e che non si esaurisce con la pubblicazione di questo cd.
Come potete notare ci troviamo in presenza
di un progetto ambizioso che ha già superato il primo stadio, ovvero la
pubblicazione di questo cd, la cui registrazione è avvenuta nel marzo del 2022
ad Amsterdarm città dove Paggi risiede. Words è un lavoro
tutto da scoprire, un insieme articolato di composizione e improvvisazione, un
tentativo ben riuscito di accostare la modernità alla storia. Sei le tracce che
ne compongono la selezione di cui quattro come dice Paggi: secondo il
metodo di improvvisazione, mi viene di pensare ad una composizione con
parti improvvisate ma prestrutturate, mentre le altre due, citando ancora una
volta le parole di Paggi, sono registrazioni estemporanee, momenti free
in cui ogni musicista cerca di completare la sfera sonora dell’altro.
Ad aprire le selezioni è “La Gente in
Discoteca nel Futuro” con il trombone del leader a borbottare e farsi largo tra gli archi, prima del suo armonizzarsi nel magma sonoro del
brano. Le due tracce seguenti “Dreaming of Fossaverde” e “Speaking of
Fossaverde” si dipanano, l’una dopo l’altra, senza interrompersi, con il
contrabbasso in primo piano. Nella prima virano verso la classica, nella seconda provano a celebrare con il trombone di Paggi l’arte del jazz. L’altra metà dell’album ci offre “Fossaverde” con il suo
vagare fra classica del passato e classica contemporanea, per arrivare
poi alla conclusiva “Mountain” a mio parere la parte più intensa e riuscita di
tutto il lavoro, quasi una suite di quattordici minuti che da l’esatta
idea di ciò che frulla nella mente ingegnosa di questo giovane e geniale
musicista.
Mountain si apre con il pizzicato del violino e con il flauto che sembra svolazzargli attorno imitando il ronzio di un insetto mentre il fronte sonoro lievità dispiegando energia e improvvisazione totale con il solo di trombone e batteria. Poi tutto si placa e prende forma un ambient minimalista dove archi, violino e contrabbasso con l'archetto, intonano una melodia scarna ma in qualche passaggio intensamente struggente, una sorta di nenia arricchita dalla vocalità del trombone e da accenni di tecniche estese. Questa opera di Paggi affascina e sorprende, uno e più attenti ascolti sono dovuti.
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