Cleanfeed Records
C’è qualcosa di rassicurante e confortevole che coglie al primo ascolto di quest’album del quartetto Arrive del sassofonista Aram Shelton. Accanto a quest’ultimo, all’alto, scopriamo: Jason Adasiewics, attuale vibrafonista di punta, Jason Roebke al contrabbasso e il notissimo, per via delle sue frequentazioni con Ken Vandermark, Tim Daisy alla batteria. Il loro jazz è un assortito mix di sonorità old fashioned su dinamiche e interazioni strutturate in chiave moderna. Il sax alto di Shelton dal timbro caldo e dall’incedere sinuoso e le conturbanti acrobazie armoniche del vibrafono di Adasiewics sono gli elementi primari su cui si gioca l’intera produzione che mette ben in evidenza anche l’apporto determinante e sempre in primo piano della sezione ritmica Robke-Daisy. Il tutto è stato registrato nell’agosto del 2008 allo Shape Shoppe di Chicago, città natale di Shelton dove quest’ultimo ama spesso ritornare e il tutto è oggi a nostra disposizione grazie al certosino lavoro di ricerca e selezione che da sempre l’etichetta portoghese Cleanfeed mette in atto. La traccia iniziale “There Was…” è all’insegna della fluidità dopo un’intro segnata dal fraseggio lirico del sax del leader; ritmo e contrappunti, in cui si alternano i soli di sax e vibrafono e dialogo tutto ad opera del trittico Adasiewics-Robke-Daisy. Interessante parentesi improvvisativa in “Lost” traccia n.3 con coinvolti esclusivamente il duo Robke-Daisy che poi lascia spazio ad uno sviluppo in trio e in chiave ritmica con Adasiewics in primo piano per chiudersi con un trascinante solo di Shelton intriso di passionalità e feeling. Un dialogo a due, sax-batteria, risalta piacevolmente nella seguente “Fifteen” che mostra anche timidi trasbordi sonori che mutano subito dopo in atmosfere pacate e riflessive. E’ questa in definitiva la tipica struttura dei brani di Shelton che accostano fraseggi dalla sfaccettatura cool o post bop ad una tendenziale esigenza improvvisativa moderna che trova realizzazione ben congegnata e ben collocata all’interno di ogni singola composizione senza per questo inficiarne una piacevolezza armonica che non viene mai meno e che a volte predomina anche certi dialoghi a due come accade tra vibrafono e batteria nella penultima “Frosted”.
Giuseppe Mavilla