Julius Hemphill
International Phonograph Inc.
International Phonograph Inc.
Il 2011 sembra essere l’anno delle ristampe importanti nella discografia jazz, ristampe di album essenziali e nel contempo introvabili. Come già accaduto per Intents and Purposes riproposto qualche mese fa e qui recensito, adesso è il turno di Dogon A.D. del sassofonista Julius Hemphill. Stessa etichetta l’ International Phonograph Inc. e stessa presentazione, in forma ridotta ma in rigido e lucido materiale cartonato, di quello che era il contenitore del prezioso vinile pubblicato nel 1972 dalla casa discografica MBARI Records, di cui era proprietario lo stesso Hemphill, che però conteneva solo tre della quattro tracce a suo tempo registrate in uno studio di ST. Louis nel Missouri. Mancava infatti nell’originale lp il brano “The Hard Blues” che poi fu inserito nel successivo album di Hemphill Coon Bid’ness inciso per l’Arista / Freedom Records nel 1975. Ricompattata quindi l’originale opera, in questa riedizione, ispirata al popolo Dogon, tribù dell’Africa localizzata nel territorio della repubblica del Mali, e alle loro danze rituali che a volte venivano riviste nella loro forma e adattate ai gusti dei turisti occidentali, da qui il sinonimo AD. Questi i riferimenti antropologici, mentre relativamente al linguaggio jazz che -Hemphill al sax e al flauto, Baikida J.E. Carroll, tromba, Abdul Wadud, cello e Philip Wilson, batteria- mettono in gioco ci troviamo di fronte ad un formula del tutto singolare per la capacità di compattare elementi be bop e hard bop, blues e soul-funky tenendo anche in debito conto i fermenti della new thing in piena evoluzione in quegl’anni. L’iniziale “Dogon A.D.” che da il titolo all’album presenta un ostinato riff dagli accenti funky, scandito dal violoncello e dalla batteria e contrappuntato dai fiati, sul quale si libera l’intensa improvvisazione del leader dai forti umori soul-blues alla quale fa eco quella alla tromba di Carroll, ricca di pathos e di energia debordante. La successiva “Rites” è densa di geometrie free-bop e ritmi frenetici, mentre in “The Painter” l’atmosfera sembra acquietarsi per dare spazio ad una ballata dai toni pacati e riflessivi che evidenzia un ricercato e improvvisato dialogo di Hemphill al flauto con la tromba di Carroll. Si chiude con “The Hard Blues” poco più di venti minuti all’insegna di un blues viscerale e incalzante con l’innesti di improvvisi riff dalla struttura funky. Questi i dettagli della riedizione, per la prima volta in digitale, di un’opera indispensabile per capire la storia del jazz e irrinunciabile per la qualità e la quantità delle intuizioni di chi l’ha concepita. Tenete però in debito conto che la tiratura è limitata a cinquecento copie.